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Donne e Potere: l’eccezionale caso delle Badesse del Monastero di San Benedetto a Conversano (Ba)
La Puglia è ricca di storia e di aneddoti che è un piacere conoscere e divulgare. Oggi voglio condividere con voi una ricostruzione storica e artistica del Monastero di San Benedetto a Conversano (Ba). La storia ci offre straordinari esempi di modernità anche in tempi lontani: eccone uno.
Tutt’oggi si discute di sacerdozio femminile e la questione è quanto mai spinosa e divisiva. Tuttavia c’è stato un angolo di Puglia in cui il sacerdozio femminile era una realtà consolidata e riconosciuta, seppur tra mille difficoltà.
La fondazione del monastero di San Benedetto a Conversano risale al periodo alto medievale. I primi documenti in cui viene nominato infatti risalgono al X secolo. Sin dalle origini venne investito di molti privilegi da parte dei conti normanni e dai loro successori, in particolare dal conte Goffredo. Egli concesse ai monaci il grande feudo di Castellana nel 1098, su cui esercitarono potere su uomini e terre.
Nel 1110 papa Pasquale II riconobbe ai monaci l’autonomia dal vescovo locale e la possibilità di eleggere il proprio abate. Rendendo il monastero nullius, vale a dire dipendente direttamente dalla santa sede, il papa diede origine ad una situazione eccezionale, in cui l’abate di San Benedetto e i suoi successori assunsero poteri assimilabili a quelli di un vescovo, provocando un dissidio con il clero locale, la cui autorità venne ridimensionata.
Dopo la morte dell’imperatore Federico II, si scatenarono lotte di potere tra la fazione sveva e angioina. I monaci furono costretti ad abbandonare Conversano, forse perché schierati si contro il re Manfredi, amato figlio del sovrano. Fu a questo punto che subentrò l’ordine femminile delle monache cistercensi. Nel 1266, in un momento di grande difficoltà per il regno, papa Clemente IV affidò alle consorelle il compito di risollevare il destino del monastero.
I privilegi, prima concessi ai membri maschili dell’ordine, vennero pienamente riconfermati. I documenti ufficiali papali, gelosamente custoditi, sarebbero stati mostrati con orgoglio ogni qual volta qualcuno avesse messo in dubbio il legittimo potere delle badesse.
I dettagli di questo passaggio di testimone ci sono sconosciuti e, se dovessimo far fede ad una leggenda locale, è probabile che la prima madre badessa fu Dametta Paleologa, religiosa forse imparentata con la famiglia reale di Costantinopoli. A prescindere dalle testimonianze molto incerte, è certo che sin dal principio non fu semplice fare i conti con tali poteri straordinari accordati a una donna e, fra alti e bassi, fu sempre costante lo scontro fra le badesse e il vescovo della cittadina.
Fra il XVII e il XVIII secolo si ebbe il periodo di maggior splendore per il monastero. Le badesse di questa insolita comunità erano scelte fra le consorelle di origine nobiliare. Alcune di loro erano imparentate con la famiglia del Conte stesso, come nel caso di Caterina Acquaviva o di Donata, figlia del conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, portatrici di immense doti e omaggiate dalla ricca nobiltà locale. Nei secoli accumularono grandi ricchezze in quella che era diventata una vera e propria “cittadella sacra” all’interno del paese.
Ad ulteriore conferma della loro importanza, durante una campagna di lavori attorno al 1620, venne apposta una targa presso l’ingresso privato del palazzo delle badesse in cui le si definiva antistate, cioè vescovesse.
Tutto questo si traduceva anche nello sfarzo dei paramenti indossati dalla badessa. Ella infatti sedeva su un trono, incoronata da una ricca mitria, copricapo vescovile per eccellenza, e munita di pastorale. Inoltre un’antica tradizione prevedeva che la si omaggiasse con un baciamano, segno di riverenza che non fu mai gradito dal vescovo e da tutto il clero maschile. Tale usanza era praticata anche in occasione del funerale.
A metà del 1600 risalgono quindi le maggiori trasformazioni dell’antica chiesa romanica. Venne messa in opera il grande affresco delle volte della chiesa ad opera dei pittori bitontini Carlo Rosa e Nicola Gliri, mentre l’altare maggiore fu impreziosito di una tela del pittore napoletano Paolo Finoglio raffigurante San Benedetto e San Biagio. Infine s’intraprese la campagna di costruzione di un altissimo campanile - portale.
Con atto notarile, s’impedì che a Conversano ce ne fossero di più alti e, dunque, anche la torre campanaria della cattedrale sarebbe dovuta essere più bassa di quella del nostro monastero. Un ennesimo motivo di disputa con il potere vescovile.
Fu in questo periodo che nacque l’appellativo di Monstrum Apuliae (Stupore di Puglia) per definire l’eccezionalità di queste donne potenti e facoltose, poi ripreso successivamente dagli storici di metà Ottocento.