Unpensierofelice

Trasforma un’esperienza difficile

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Trasforma un’esperienza difficile

Il caregiver esausto

2023-11-12 11:06:16

Racconto dell’esperienza personale, suggerimenti, errori da non ripetere, e qualche consiglio.

Era il 30 settembre. Mio marito ha diversi problemi di salute, in parte legati all’età, e da qualche mese è particolarmente fragile, con attacchi di ansia.

Quella mattina avevo un webinar, quindi è andato a far la spesa al mercato in compagnia di un’amica: sono mesi che non esce da solo. Rientra prima del previsto, stanchissimo, e decide di sdraiarsi. Non a letto, ma sul divano così può guardare la televisione. Il giorno dopo ha qualche linea di febbre, passata con una banale aspirina, ma dichiara di essere stanchissimo, e rifiuta di alzarsi.

Il lunedì non ha febbre, ma lamenta dolori, stanchezza e rifiuta il cibo. Temo il covid, o l’influenza, che in una persona di quasi 80 anni con broncopneumopatia cronica possono essere problematici, ma il test, acquistato in farmacia, è negativo. 

Telefono al reparto di geriatria che lo segue da anni, ma rispondono che l’unica cosa è portarlo al pronto soccorso e poi, forse, lo prendono in carico nel reparto. 

Martedì 2, non sapendo più cosa fare, scrivo al medico di base. Grande donna, il mio medico di base. Conosce bene me e mio marito e sa che, se esprimo preoccupazione e angoscia, non lo faccio a cuor leggero. Viene a casa, lo visita: polmonite bilaterale. Prescrive antibiotici e consiglia l’ospedalizzazione, ma lui rifiuta. Così proviamo a curarlo a casa. E comincia l’incubo. 

Non dorme, e non mangia. A nulla servono gli ansiolitici, e a nulla servono tentativi con le buone e con le cattive di fargli accettare un po’ di cibo. Fare l’aerosol è una battaglia, poi tentativi vari di corruzione, poi una guerra. Serve a poco: la dose maggiore di aerosol va sempre a beneficio della stanza invece che dei suoi polmoni.

La terapia non sortisce l’effetto desiderato, e va sempre peggio. La dottoressa, che continua a venire a vederlo, è preoccupata e gli parla di ospedale. Lui sta male, e al momento acconsente. Poi, quando arriva l’ambulanza, rifiuta di salire. Per legge, se un paziente in grado di intendere e di volere firma il rifiuto all’ospedalizzazione, non si può fare nulla.

Si cambia terapia: iniezioni, ogni giorno, e ogni giorno la dottoressa viene a fargliela. 

Servono un’RX torace, e gli esami del sangue. Cerchiamo il servizio a domicilio. Rifiuta di sedersi per fare l’RX, che viene fatta un po’ come si può.

Rifiuta di mangiare e dorme pochissimo, e io con lui visto che chiama e si lamenta tutta notte.

A nulla servono preghiere o sgridate: è ostinato e diventa anche aggressivo.

Proviamo a spaventarlo facendo intervenire un prete (lui è di famiglia molto cattolica), non per l’estrema unzione, ma per una chiacchierata. Dopo due ore, promette di seguire ciò che dice la dottoressa, ma appena il prete va via, ricomincia a fare solo quello che vuole. 

Passano i giorni. Non mangia e non dorme. Chiamo suo cognato, medico, e spiego la situazione. Dice: “ci penso io”.

Dopo un paio d’ore, il cognato mi ingiunge di chiamare l’ambulanza perché è sicuro che adesso andrà.

E infatti arriva l’ambulanza, e si ripete la scena: rifiuta di salire.

Il cognato lancia un vaffa e un “me ne lavo le mani”.

Poi la polmonite guarisce.

Eppure lui rimane lì, ostinatamente, su quel divano, senza alcuna volontà di alzarsi, e neanche di mettersi seduto. Prego, urlo, grido, piango, sperimento emozioni che mi erano sconosciute. Mi devo arrendere alla sua ostinazione, e al fatto che nessuno può obbligare o convincere un altro a fare cambiamenti che non vuole fare, neanche se è per farlo star bene.

Rimango, con i miei certificati da coach, in un abisso di carenza di sonno, di stanchezza, di cibo buttato perché dopo pochi bocconi lo rifiuta, di bucati da fare, di traverse da cambiare perché lui il pannolone se lo toglie, ritenendolo poco dignitoso. Passano i giorni e le settimane, e sono ancora qui, esausta.  

Mi ritaglio spazi di sopravvivenza in un cappuccino o un caffè al bar, in un piatto di spaghetti per evitare di mangiare schifezze frettolosamente, in qualche meditazione che però, ora, fatico a seguire. Riguardo Harry Potter, che mi mette di buon umore, per l’ennesima volta, qualche video di cuccioli, e mi godo le fusa che Atena non mi lesina mai.


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