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Il caregiver e le relazioni che cambiano: parole crudeli

2022-04-09 14:43:03

A volte basta un nonnulla, o quello che sembra una piccolissima cosa, e il caregiver si sente sommerso da parole crudeli. 

Il fenomeno è tipico di certe patologie, ma è comunque presente in moltissime relazioni e, ciò che è peggio, rappresenta spesso un cambiamento radicale nel malato che, prima, non si sarebbe mai sognato di dire certe cose. 

Qualche giorno di tensione, un po’ di stanchezza, un bisticcio per motivi banali… ed ecco una pugnalata, una frase davvero crudele, di quelle che si ricordano a distanza di anni. Fa male, fa un male cane. (povero cane: che c’entra, poi!)

Per qualche secondo rimaniamo ibernati, come se avessimo subito un abbassamento di temperatura a settanta gradi sotto zero.

Bisognerebbe sapere il vero perché di quelle parole, e capire se c’è una qualche modalità per reagire, rispondere, al di là della reazione istintiva personale.

Azzardo qualche ipotesi.

Perché quelle parole davvero crudeli?

  • Escluderei la pura cattiveria, la totale crudeltà: sono persone che amiamo, abbiamo sposato, di cui ci prendiamo cura o ancora sono i nostri genitori, figli, fratelli… E allora perché?

Certo, quella frase è stata detta con il desiderio di ferire. Ma perché?

Premetto che ogni persona e ogni situazione è diversa, forse bisognerebbe sentire uno psicologo, ma, nella mia esperienza, ci sono alcune emozioni quasi sempre presenti. Ansia, frustrazione, insoddisfazione e senso di inadeguatezza si mischiano in proporzioni variabili, ma ci sono.

C’è dolore anche in chi fa male, spesso dolore che non si vuole riconoscere, e paura, tanta. E poi c’è rabbia, ed è la rabbia che parla. Rabbia perché l’altra, la persona che subisce, sembra superiore, più calma, forse più saggia, sembra che soffra meno. 

E allora che fare?

La mia prima reazione istintiva è la fuga: detesto litigare e non tollero le cattiverie.

Non solo non serve, ma potrebbe peggiorare la situazione, spesso perché chi mi ha attaccato legge la mia fuga come una sua vittoria, e quindi userà lo stesso sistema in futuro.

Se non posso fuggire, mi trasformo in una statua (di sale). Immobile, per resistere alla tempesta e aspettare che passi, sperando che lo strato di roccia che mi costruisco a protezione apparente non lasci passare il sangue che scorre dalle ferite.

Non serve. L’altra persona legge in questo comportamento una forma di superiorità: io sono qui che urlo, frustrata, terrorizzata, inadeguata e rabbiosa, e tu sei lì, calma, superiore.

Chi urla rabbiosamente non riuscirà mai, in realtà, a percepire il dolore dell’altro, la rabbia uccide l’empatia e talvolta chi ha urlato non sa neanche cosa ha detto.

Piango anche, ma non serve nemmeno quello.

E allora che fare?

Credo ci siano due reazioni utili, ammesso che si riescano ad avere.

  • Una è il ricalco e guida. Qualche strillo, senza cattiveria, qualche rimostranza ben costruita, senza rabbia, comunica che siamo pari, io non sono migliore di te (vedi, urlo anch’io) per poi guidare verso il dialogo.
  • L’alternativa credo che sia l’irruzione improvvisa per superare le barriere di rabbia e frustrazione dell’urlante. Un abbraccio, forse, parole di amore, far comprendere che la percepita inadeguatezza e inferiorità non c’è.

Rimarrà, poi, da curarsi le ferite per quella frase, ferite che spesso durano anni.

Avete altre soluzioni? Se sì, grazie per raccontarle.


Le relazioni che cambiano - Percorso insieme al caregiver, ai familiari, agli amici
Percorsi insieme – dalla diagnosi alla felicità Un percorso di mentoring e coaching dedicato al caregiver, a familiari e amici del paziente, per migliorare e gestire le relazioni costituito da 6 incontri, compreso il primo incontro esplorativo gratuito.Per familiari e amici, per chi si prende cura di una persona amata che ha ricevuto diagnosi antipatiche, è importante prestare attenzione alle relazioni, sia quelle nuove con medici e terapeuti, sia quelle che cambiano, prima di tutto con il paziente.Che tipo di aiuto si può dare al paziente nel gestire le relazioni con i terapeuti? Come aiutarlo? Come dialogare con i medici?Non so se ti è capitato tutto questo: la mia esperienza dice che non è tutto semplice.Il percorso inizia da qui, con un pizzico di teoria, qualche tecnica e un po’ di esercizi.Il passo successivo è delicato.Il caregiver si trova catapultato in una relazione di aiuto e, nel contempo, si ritrova a gestire un cambiamento della relazione con il paziente stesso.Il genitore a cui chiedevamo consigli e supporto ora ha bisogno di noi, e il rapporto è rovesciato.L’amico di una vita è diventato fragile, è cambiato, non sappiamo più come comportarci.È importante dotarsi di strumenti per capire e di tecniche per agire, senza, però, dimenticare di trovare le risorse necessarie per affrontare l’esperienza.Il primo incontro è gratuito ed esplorativo: serve a te per capire se vuoi procedere, e a me per capire se ti posso aiutare e come. Ogni incontro dura circa 1 ora e si svolge via skype.Tecniche - Spiegazioni - EserciziParleremo di:definire e comprendere la relazione con i terapeutisupportare il paziente nella visita medica e nelle terapiecos’è la relazione di aiutocomprendere la relazione e le emozioniascoltare, dialogare e chiederetrovare le risorse