Unpensierofelice

Trasforma un’esperienza difficile

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Trasforma un’esperienza difficile

Ho abbandonato la mia migliore amica

2021-10-23 09:25:33

Dopo aver raccontato diverse difficoltà del paziente, ecco uno sguardo all’altro lato dello specchio: comprendere chi fugge

Il paziente che ha ricevuto una diagnosi pesante si trova ad affrontare un’esperienza estremamente difficile, ed è davvero complesso comprendere fino in fondo.

Ci sono passata, anzi: la sto vivendo tutt’ora, come paziente oncologica in remissione, ma ancora sottoposta a controlli mensili e ben consapevole dei rischi.

Il mio impegno è dare supporto, in vari modi, per affrontare l’esperienza.

Ho vissuto, però, l’esperienza della diagnosi difficile anche come familiare e come amica di pazienti e credo sia utile guardare anche l’altro lato dello specchio.

Per quanto mi riguarda l’esperienza vissuta come amica è stata decisamente più difficile di quella come paziente.

Molti pazienti soffrono, e tanto, per assenze o abbandoni di persone su cui pensavano di poter contare nel momento del bisogno. È capitato anche a me.

Non sono qui a difendere gli stronzi: ce ne sono tanti, ma a raccontarti un mio momento di profonda difficoltà, sono qui a confessarti che anch’io sono fuggita, e a spiegarti perché. 

Avevo quasi 30 anni, e un’amica del cuore. Avevamo condiviso davvero la vita, le emozioni, le vacanze. Poi lei si è trasferita a Bologna e io a Milano. All’epoca non c’erano telefonini, whatsapp, internet, e altri strumenti, ma c’era il pensiero e il telefono. Siamo rimaste in costante contatto, con qualche visita ogni tanto.

Improvvisamente sparisce per settimane. La cerco, ma il telefono suona a vuoto. Ero titubante a contattare la sorella: a volte diceva di venire a Milano da me e andava altrove, ma mi avvertiva sempre. Passano altre settimane e chiamo la sorella. 

Pessime notizie: tumore al pancreas, nessuna speranza e pochissimo tempo.

Chiedo di andarla a trovare. 

Sì, ma attenta. Lei non sa nulla e non vogliamo che sappia nulla. Addirittura sta organizzando il suo matrimonio per quando sarà guarita. La confidenza tra voi è tale che tu sei l’unica da cui può intuire che qualcosa non va”.

Mi metto l’armatura per quella che è stata la visita più difficile della mia vita.

Parliamo di amori, lavoro, vacanze… siamo verso fine luglio. Mi chiede dove andrò in vacanza e le parlo di una casa in affitto con delle amiche nel sud della Spagna. Mi chiede se c’è posto: quando starà meglio vorrebbe raggiungerci. 

Lei che ha sempre fatto le diete più assurde e disparate, ora è magrissima. Vomita. È terribile.

Riesco a fingere per un paio d’ore e poi… devo prendere il treno.

Delle tante esperienze difficili questa è l’unica che non sono mai riuscita ad elaborare, l’unica di cui non riesco a parlare al passato, l’unica su cui piango ancora ogni volta che ci penso.

Sono fuggita, tentando di sostituire una distanza fisica ad un equilibrio emotivo che non riuscivo a raggiungere. 

La settimana dopo parto per la Spagna, per tornare 10 giorni dopo e arrivare a funerale finito.

Non mi sono mai sentita così totalmente impotente. Qualche anno dopo, nel reparto di rianimazione, ho lottato 12 ore con la morte a fianco di mio padre. Ma la malattia, e la morte, dell’amica era contro ogni legge di natura, era la perdita di una parte di me stessa e della mia stessa infanzia: non c’era più nessuno che condividesse con me esperienze e ricordi.

Ho sbagliato? Sì. Potevo trovare il coraggio? Forse sì, ma non ci sono riuscita.

Condannatemi, se volete. Ma che nessuno pensi che non ci sia stata sofferenza da parte mia. 

Credo che poche delle fughe davanti ad un amico malato, ad una campagna malata, siano dettate da completo disinteresse o cattiveria. C’è paura, panico, sensazione di totale impotenza, senso di inadeguatezza e tanto dolore anche da parte di chi fugge.


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