Ahi Mancini, è un’Italia che non sa più vincere
L’Italia sbanda e perde le certezze in fase difensiva, rischiando il bis di Malinovskyi con Donnarumma incerto
Prima e dopo quel minuto numero 43, il momento più intenso della gara con il ricordo delle vittime del Ponte Morandi, l’Italia di Mancini s’è finalmente rivelata. O perlomeno s’è capito fin dove voglia spingersi il ct e quale sia la sua idea di calcio. Perchè un conto è dirlo – e Mancini aveva accennato ad una Nazionale in grado di privilegiare il gesto tecnico – un conto e metterlo sul campo. Chiaro, poi, come dal suo avvento mancasse un elemento senza il quale non si va da nessuna parte. La condizione atletica. Certo, poi bisogna buttarla dentro per vincere le partite e questo resta il problema più pressante della nostra Nazionale nel passaggio da Ventura a Mancini. Un problema che trasforma vittorie meritate come poteva essere quella di ieri, in pareggi ad alto rischio, se va bene (...)
Un conto è dirlo un altro è farlo. Soprattutto se dal punto di vista del talento, come direbbe Totò, c’è stata una grande moria delle vacche. Quel poco che c’è, però, Mancini lo ha assemblato bene. L’idea è molto spagnoleggiante, guardiolesca quasi, perlomeno nella scelta degli interpreti, con i centrocampisti che devono saper fare i difensori (Florenzi), un trio di centrocampo dal piede educatissimo con Verratti, Jorginho e Barella, eppoi tre diversamente attaccanti come Chiesa, Bernardeschi e soprattutto Insigne alla Aguero, se si vuole ricordare il City di Mancini che vinse la storica Premier nel 2012. Un’idea mica male, in effetti che poi è il ribaltamento di un limite evidenziato a cavallo tra Ventura e Mancini: se via via ti vengono a mancare punti di riferimento granitici nella rosa azzurra, allora che questo non sia più un limite ma un potenziale da rovesciare contro l’avversario, lavorando più sul ritmo corale (...)
Fonte QS La Nazione