Riccardo Polverosi

Storia & Antichità

Una rivolta fuori dal comune

2019-06-02 23:54:42

Anche in un posto sperduto e terribile la civiltà può resistere e prosperare

L'Unione Sovietica sotto Stalin era uno stato totalitario, famoso per la spietata repressione del dissenso. In particolare erano note le terribili condizioni dei campi di prigionia, dei luoghi infernali costruiti in aree remote e in cui la vita dei reclusi durava poco: i reclusi erano costantemente vessati dalle guardie e venivano usati come manodopera a basso costo in fabbriche e miniere, alla lunga ciò portava alla morte. Secondo molti storici, la sola differenza tangibile rispetto ai lager nazisti era l'assenza di bambini.

Nel corso degli anni questo sistema insostenibile causò una serie di rivolte, tutte soffocate dalle truppe speciali sovietiche (le guardie carcerarie avevano una grande quantità di armi per evitare sommosse, ma a volte non bastavano).

Una delle ultime rivolte nei lager sovietici fu quella di Kengir, in Kazakistan: nel 1954, un anno dopo la morte di Stalin e del suo braccio destro Lavrentij Berija, i prigionieri del locale campo di lavoro insorsero e nel giro di 2 giorni conquistarono l'intera prigione, costringendo le guardie alla fuga.

Allora accadde qualcosa di incredibile: la libertà non diede alla testa ai carcerati, i quali si organizzarono per dirigere collettivamente la prigione appena liberata. In particolare ci furono delle elezioni che portarono alla formazione di un governo: un ex ufficiale dell'Armata Rossa divenne il capo del governo (e quindi della prigione), mentre i prigionieri politici essendo ben istruiti e competenti si occuparono dell'amministrazione, in questo modo riuscirono a gestire la vita all'interno del campo, trasformandolo in una specie di comunità chiusa. I prigionieri si ripresero gli abiti civili e tra le varie cose misero in piedi un centro di propaganda, in cui producevano materiale da distribuire alla popolazione di un villaggio nei paraggi per informarla dell'accaduto.

Oltre a questo nel campo ci furono dei matrimoni: una delle sezioni della prigione ospitava numerose donne che si ritrovarono libere quando gli uomini insorsero, di conseguenza presero a frequentarsi e molte coppie scelsero il matrimonio grazie a un prete presente tra gli internati, che celebrò diversi riti.

Ovviamente le forze dell'ordine non rimasero a guardare: ben presto le truppe si presentarono al cancello della prigione, ma il governo del campo riuscì ad avviare delle trattative con le autorità: i prigionieri giocarono bene le proprie carte, facendo notare alle autorità che le loro richieste erano legittime (in linea con la Costituzione sovietica) e che le guardie erano sostenitori del defunto Berija, un nome che all'epoca era grandemente caduto in disgrazia.

L'atmosfera di libertà (entro le mura del campo) durò 40 giorni in totale: dopodiché le truppe speciali attaccarono la prigione con i carri T-34 uccidendo tra i 50 e i 700 prigionieri (a seconda delle fonti) e soffocando la rivolta.

Nonostante sia finita male, l'esperienza della rivolta di Kengir diede prova che anche in condizioni disperate la civiltà e il senso di umanità delle persone possono resistere e dare vita a qualcosa di positivo e ordinato.


Fonte: HistoRick