Riccardo Polverosi

Storia & Antichità

La ferrovia della morte

2019-12-13 00:08:56

Quando si dice "fatica sprecata" raramente si immagina una ferrovia...

In Italia c'è una nota tradizione di opere pubbliche tanto faraoniche quanto inutili, come le autostrade, le gallerie e i ponti. Ma anche in un paese totalmente diverso quale l'Unione Sovietica le infrastrutture non brillavano per efficienza e funzionalità.


Un esempio lampante di progetti folli in URSS fu la ferrovia Salekhard–Igarka, situata nell'estremo Nord (oltre il Circolo Polare Artico). 

La costruzione della ferrovia fu decisa da Stalin e iniziò nel 1947, subito dopo la guerra: il percorso da coprire era lungo quasi 1300 chilometri e attraversava la tundra, uno degli ambienti più inospitali del mondo. Lo scopo ufficiale era collegare i porti dell'Artico con la rete ferroviaria sovietica in modo da aumentare il traffico delle merci.


Al progetto lavorarono tra gli 80.000 e i 120.000 uomini (ma anche qualche donna), tutti quanti prelevati da due campi di prigionia (gulag) costruiti apposta nelle vicinanze: il lavoro era massacrante e centinaia di lavoratori-schiavi morirono per la fatica, il freddo, la mancanza di cibo e gli assalti delle zanzare (questi ultimi nei mesi estivi). Le zanzare in particolare diventarono la punizione preferita dalle guardie nei confronti dei prigionieri: chi violava le regole veniva denudato e lasciato all'aperto per ore, in modo tale da diventare un puntaspilli umano.


I lavori erano resi difficili anche dalla scarsa attenzione dei progettisti agli agenti atmosferici e all'ambiente, infatti posare i binari sul terreno ghiacciato (permafrost) era difficilissimo in inverno e impossibile in estate, quando il ghiaccio si scioglieva e diventava tutto un pantano acquitrinoso. 

Se a quello si aggiungono dei tempi di consegna impossibili e dei materiali di bassa qualità (i binari venivano dalle ferrovie distrutte durante la guerra, quindi erano tutti rovinati), si comprende come la tratta non potesse avere un epilogo felice.


La costruzione infatti andò avanti fino al 1953, quando Stalin morì. In seguito la supervisione dell'opera passò dal Ministero dell'Interno (MVD) a quello dei Trasporti, perennemente a corto di soldi e di operai (non aveva accesso al serbatoio umano dei gulag): di conseguenza i lavori si interruppero a quota 700 chilometri e la ferrovia fu presto abbandonata alla furia degli elementi, che la fecero letteralmente a pezzi . Oltre ai binari andarono in malora anche una decina di locomotive, tutte le infrastrutture come i ponti e migliaia di tonnellate di materiali da costruzione. Si capisce allora perché la linea sia stata chiamata "ferrovia della morte": oltre ad essersi presa la vita di innumerevoli operai, non ha mai funzionato un solo giorno essendo "morta" prima ancora del suo completamento.


Tutto questo costò all'URSS qualcosa come 42 miliardi di rubli, che all'epoca era una cifra a dir poco esorbitante, soprattutto considerando che la ferrovia non vide nemmeno l'ombra di un treno, eccetto quelli che portavano il materiale.


La cosa peggiore però riguarda gli operai che edificarono i 700 km: per anni e anni quelli avevano patito le pene dell'Inferno convinti di stare costruendo un'opera fondamentale per la madrepatria, invece dopo il 1953 si resero conto di aver buttato sangue, sudore e lacrime al vento...


Fonte: HistoRick