Menestrello on demand

Parole alla Poesia.

In deserto. La voce che grida di Paolo Steffan

2019-12-06 07:34:52

Ecco a voi il commento preparato per il libro di poesia "In deserto" di Paolo Steffan in occasione della serata di presentazione svolta presso Casa la Buona Stella venerdì 29 novembre.

Cari, carissimi amici di "Menestrello on demand",

vi chiedo scusa per la lunga assenza, di qualche settimana ormai.

Questo lungo periodo è dovuto a vari motivi: certamente alla coincidenza di impegni lavorativi, poi alla volontà di strutturare in modo un po' differente questo spazio, in modo che possa essere gradevole per voi (ne accennerò meglio nei prossimi post), ma soprattutto perché ho voluto dedicarmi al lavoro di commento al libro "In deserto" di Paolo Steffan, una raccolta di poesie che ritengo di notevole spessore, un vero e proprio "relitto di sopravvivenza" (se avrete piacere di leggere oltre capirete anche perché uso questo termine) nel panorama un po' desolato di tanto mondo che ci circonda.

Fortunatamente non tutto è sempre grigio e triste, non potrebbe esserlo, e continuamente possiamo innalzare al nostro volto un sorriso, mentre ad un albero spunta l'ennesimo germoglio. Ennesimo ma sempre il primo, sempre nuovamente vita. E poesia.


Ecco a voi il mio commento. Spero che gradirete e che soprattutto, vi verrà voglia di leggere il lavoro di Paolo! Al termine alcuni riferimenti per farlo.


Paolo Steffan è un amico.

Persona di animo sensibile, innanzitutto. In grado per questo di cogliere le molte storture che ci riserva la vita sociale oggigiorno, o le degradazioni del territorio a cui rischiamo di abituarci per rassegnazione.

Il suo libro gli corrisponde esattamente, senza sbavature.

Perché Paolo è altrettanto persona capace di sorridere, sinceramente e apertamente: forse una reazione a quando accade intorno ma probabilmente, da quel che mi è dato intendere, una vocazione naturale, una facoltà di quelle che è importante avere per lavorare a costruire futuro, piuttosto che distruggerlo come rischiamo facilmente di fare ai nostri giorni.


Nel suo libro “In deserto”, corrispondentemente a quanto sopra, emerge la desolazione di un panorama che offre poco di buono da poter raccontare, ma anche la leggerezza di quel “poc, che l’è tut” che di buono si trova.

Animato da una forte volontà di esprimere ciò che dalla sua sensibilità emerge, l’autore riesce a gestire con un suo distacco il contrasto tra un mondo che si fa disarmonico, meccanico, materialistico, e la necessità di bello che invece sottende alle nostre anime.

Un bello che è anche la veste del bene, come affermano da sempre le sensibilità che si esprimono in linguaggio filosofico, dai tempi dei greci ad anche prima. Da qui immagino derivi il suo affondare nello studio e nell’approfondimento del pensiero del mondo, per cercare di dare un senso alla bruttezza e al male.


Torniamo al suo lavoro, “In deserto”

Le sue poesie non sono risposte, sono domande irrisolte, offerte con uno sguardo beffardo su tutto il campo dell’osservazione possibile, su tutto il campo del dolore.


  • Che sia la cifra interpretativa dell’esodo migrante, nelle poesie che raccontano del mare monstrum, di quell’assurdo in cui ci troviamo pure noi immersi, in una situazione molto meno difficoltosa di chi è purtroppo costretto a viverla, ma non meno coinvolti. Questa poesia civile è lo sguardo del poeta, è il sentire di chi sente il dovere di abitare il luogo più scomodo.
  • Che sia lo sguardo rivolto al male di Auschwitz. Una assurdità che rischia nella distanza storica di riemergere, negli animi di chi nasce molti anni dopo questo picco tragico del non-senso, dell’anti-umano
  • Che sia la guerra dei meloni, a 1 e euro e mezzo al chilo, come se si potesse pesare e misurare una vita, o il ricorrente Lingéra. Tutto un mondo di possibile bellezza e di relazione si sfibra, si sfilaccia, si disfa in uno sfacelo che confonde tutti i colori possibili in un grigio numerario privo di senso, privo di bellezza.

Se “la bellezza salverà il mondo”, come scrisse Dostoevskij , e se ci fosse semmai sembrato strano offrire a una facoltà estetica tanto potere, possiamo invece oggi capire perché.


E' importante quindi indignarsi per tutta la bruttezza che incombe, per quanto ha fatto sì che ad esempio venisse tagliato il pioppo fratello nella storia, in via Zamboni, egregio chirurgo; pioppo fratello che diventerà legna, materia pesante, quantità, cosa. Per alimentare energia di fabbrica di cose, accantonando la storia e il senso, ingrigendo il pensiero che dovrebbe farsi invece nient’altro che la pura luce che è, la grandezza di cui abbiamo la possibilità, ma che sfruttiamo per alimentare bassezze.

Qui la memoria di Zanzotto è chiara ed evidente. Molta della poesia del grande Maestro è espressione di indignazione per il degenerarsi dell’umano, e lo è in forma di bellezza cercata, voluta, evocata. Lo è muovendo da uno sguardo e una visione che nel cuore porta la vita che vorrebbe vedere, porta l’immagine di quella bellezza che vorrebbe poter trovare anche al di fuori di lui, anche fosse solo un pioppo fratello.

Questo sguardo beffardo osserva da una certa distanza e vede deserto. Vede terra che non fa crescere, terra arida e buona solo per la sua qualità numeraria. Terra che è solo peso, non vitalità e gioia.

Ma la bruttezza, per la quale giustamente ci si indigna, non è tutto.

Possiamo scegliere di fare un passo indietro, e questo passo indietro ha lo stesso valore di un germoglio nuovo e aperto alla vita.

La scelta di "non starci" è la vera scelta rivoluzionaria, che apre mondi e contrasta l'involuzione in corso.


Possiamo usare per interpretare il percorso narrativo del deserto che emerge una metafora, l'immagine delle onde.

Che pure, nel deserto, sono l’unica forma.

Il segno del vento, che pure c’è, e “soffia dove vuole”. Lo sguardo di Paolo non è religioso in senso ortodosso, ma lo è in un senso profondo e strettamente etimologico, se vogliamo dare un valore alla forza da cui nascono le parole: si coglie la sofferenza che pure nel distacco esprime quel religo, quel legame profondo con le cose, del sentirsi da esse si sente strappato.

Questo sguardo religioso offre una lettura differente alla manifestazione sempre comunque cruda della morte. L’assurdità dell’uomo produce distruzione, deserto. Ma la vita che sottende comunque con determinazione invincibile impone la sua necessità.


Per cui le ONDE, le espressioni dell’esistente e del contrasto. Su e giù, su e giù:

  • pag 17 mare nostrum (o monstrum?): “che muti riemergono in richiami di buio e poi muti si perdono”. Per dire di un chiaro-scuro di senso che porta angoscia. E’ il momento dell’incertezza. Il basso,
  • emerge in questo assurdo andare su e giù del non-senso, come le onde, un calore appena accennato, quello che da tanta assurdità, come unica risposta possibile. L’ironia. Forse God got a sick sense of humor (da "Blasphemous Rumors" dei Depeche Mode, ) ma almeno ce l’ha, potremmo dire. Conservare l’ironia è l’unica ancora di salvezza rispetto al manifestarsi di questo mare assurdo. Allora le chiocciole, a pag 26. Che parlano in dialetto, la lingua di casa, la lingua che può scaldare come un piccolo fuoco, almeno, i piedi umidi, come un filò nelle lunghe notti di inverno. Un piccolo alto.
  • “Ed anche il vivere sarà morir di gusto” pag 27. [dietro a tutto il manifestarsi dell’assurdo, almeno, ci siamo noi. Non ci annulliamo nel tutto “che s’immerda” ma riusciamo a stare su ciglio molto sottile, fuori di tutto questo, fosse anche solo con l’intellettualità supportata da un sentimento di rifiuto di tutto questo. Ma ci chiamiamo fuori. E nel chiamarci fuori, ci siamo.] Noi, di fuori ad osservare, il basso e l’alto
  • E quindi, come le onde, la storia umana si ripete [pag. 29] Radnoti. Ancora il basso
  • Ma appunto, in questa storia di corsi e ricorsi, come onde, la necessità di presenza riemerge. Sarò l’ustione (pag. 31). L’aria odora delle ceneri. Ebbene, un impeto di orgoglio mi salverà: sarò proprio io l’ustione, sarò l’offerta di me a questa assurdità che incombe. A ancora una volta, nell’offrimi e così perdermi, mi ritrovo, ci sono. Non solo trasportato passivamente, come onda, da tutto l’andare, ma reagisco. Non sarò quello che poi diventerà deserto. Io non sarò e per questo motivo, finalmente, veramente, sarò. L’alto, nuovamente

Ancora questa lettura è possibile nel capitolo VARIAZIONI. “In deserto” , voce che grida. Come Giovanni, massima manifestazione di quello che può aspirare a diventare un uomo, che non è ancora Cristo.

Nella nostra umanità questo possiamo essere, voce che grida. E possiamo riempirci di domande.

In questo riempirci emerge una nostalgia. Non tanto di quel che manca, ma di quel continua ferocemente a riapparire, tra un’onda e un’altra onda di storia.

La bontà dell’uomo c’è, esiste, scompare periodicamente, soffocata dalla stupidità e dall’ignoranza, ma riappare. Anche dal taglio feroce riappare vita, nonostante. (Albero, pag 36, che “speranza rigetta, rigermoglia”).

E si ritorna con la Lingéra di stato a denunciare la barbarie, ancora una volta certi del proprio guardare e dall’esser fuori da questa decadenza, forti nella propria scelta. Sarà pure poc, ma l’è tut par noaltri (pag. 41): la lingua migliore per dire questo è il dialetto, la lingua che ci fa sentire a casa.


In "Via Zoppa" ancora le onde, che coprono. Onde che rimescolano.

“Non è dato sapere” cita la poesia.

Non è dato sapere, un po’ come il “questo solo noi possiamo dire”, ci ricorda il nostro essere piccoli, ma grandi nel riconoscerlo.

Intanto siamo qui, noi, con il nostro sguardo il più possibile acceso.

Vediamo, capiamo, testimoniamo.


“Non è dato sapere” nel confuso rimescolato, e tacciono Dei che hanno obliato paesi rimasti senza i loro mulini di creanza.


E qui ci fermiamo, con le poesie.


In conclusione.

Con Paolo e le sue poesie ci affianchiamo a un compagno sensibile e disincantato, capace di racconto in modo talmente naturale che se ne coglie la necessità, prima che l’indubbia qualità di ordine intellettuale.

Un amico che ci accompagna e ci aiuta a leggere la realtà offrendoci, in questo farsi di onde, alcuni relitti ai quali appigliarci: la memoria delle nostre radici dialettali, lo scarto ironico e a volte beffardo, la speranza dell’albero che germoglierà ancora, nonostante tutto.

Questi relitti, nel deserto che si formerà al ritirarsi del mare, saranno i momenti di discontinuità rispetto al ritmico e feroce andare delle onde, che continuano a segnare, in una storia di uomini, una banalità del male ciclicamente destinata a sommergerci, ma alla quale non la daremo mai vinta

Perché noi siamo di più.

Se resteremo consapevoli di essere uomini e della nostra responsabilità.

Quei relitti continueranno a tenerci a galla, bene o male.

E un giorno, quando la voce che grida nel deserto sarà esaurita, si vedrà quel che accade, noi il nostro l’avremo fatto.


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Potete acquistare il libro "In deserto" di Paolo Steffan collegandovi qui, sul sito di ibs

Potete leggere alcune poesie qui