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Open: il sacrificio come antidoto alla mediocrità

2021-05-19 17:04:33

Quando lessi il libro di Agassi, il suo odio per il tennis, i suoi trionfi in questo sport, pensai subito: il successo lascia tracce. La frase di...

Quando lessi il libro di Agassi, il suo odio per il tennis, i suoi trionfi in questo sport, pensai subito: il successo lascia tracce. La frase, presa in prestito da Antony Robbins - presto dedicherò anche ai suoi libri ampio spazio, meritano certamente un posto fra quellli OPEN YOUR MIND - è quella che meglio sintetizza, chiarisce e descrive l'unicità, la bellezza e la contraddittorietà di OPEN.
OPEN, in breve: odiare una cosa, e dedicarci tutta la tua vita. Perché giocare a tennis è tutt’altro che un gioco, specialmente se qualcuno ha deciso che sarai un campione. Questa è la storia o meglio la biografica di Andrè Agassi, probabilmente il più grande tennista degli ultimi 40 anni.
Ora, io di tennis, match e tornei ATP non capisco nulla. Non so cosa sia un serve-and-volley né un ace (a parte il succo di frutta, ovviamente). Il nome Agassi, prima di leggere il suo libro, suscitava in me soltanto il vago ricordo di una massa di capelli biondi molto frisé e molto anni ’80. Nonostante ciò, qualche anno fa, ho acquistato, e letto fino all’ultima riga, una biografia di un tennista di quasi 500 pagine. Perché? per farmi del male? No, semplicemente così, perché avevo intuito - e la mia intuizione poi si è rivelata corretta - che questo libro non parlava solo di tennis, ma molto di più: OPEN è una una metafora della vita dedicata (sacrificata) a un solo obiettivo

Già, perché il succo della storia sta tutto qui: il sacrificio come antitodo alla mediocrità.
<Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita>

Ma Agassi ha un padre fissato con il tennis, che vuole un figlio campione.
Ad Andre va di sfiga, perché ha talento, più talento dei suoi fratelli, e il padre non può non accorgersene. Il ragazzino vince alla stragrande e suo padre ha deciso che diventerà un campione. E Agassi diventerà un campione, infatti. Un campione fragile, complicato, insicuro, che si maschera dietro look stravaganti, che si sposa con Brooke Shields ed è
già pentito mentre le fa la proposta, che non fa un passo senza la sua squadra di allenatori e guru strampalati. Che vince, o perde, perché è allenato o perché non si concentra, a seconda.
Certo, diventa un campione, ma per buona parte della sua vita sembra non godersi affatto le sue vittorie. E’ un incubo, non certo un gioco. E’ il prezzo da pagare per essere il numero 1 in qualcosa, qualunque cosa? Forse si, per raggiungere un tale livello di eccellenza, che sia nello sport o nel lavoro o nell’arte, bisogna sacrificargli una vita intera. Il libro, quindi, stimola delle riflessioni davvero profonde ed importanti - di quelle che, appunto, aprono la mente e possono perfino cambiare la vita - come ad esempio le seguenti: solo il sacrificio totale porta all'eccellenza ? E' davvero così in ogni ambito o soltanto nello sport ? Il telento è un dono innato o si costruisce ? E' possibile un equilibrio fra il duro lavoro, necessario per emergere (prima) e per affermarsi (poi) ed il godersi la vita ? O, al contrario, non esistono vie di mezzo ? Il modello Agassi è replicabile in ogni campo ?
Queste e molte altre, simili, riflessioni costituiscono un'ottimo motivo per leggere OPEN anche se, proprio come me, non avete MAI visto un incontro di tennis.