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Storie di schemi: l’evoluzione della tattica.
Quinta parte. Foto - L’Inter di Foni vinse due scudetti consecutivi tra il 1953 e il 1954
“Mezzo sistema”, “vianema”, “catenaccio”
Come Pozzo aveva intuito e sostenuto, con la conseguenza di essere rimosso dall’incarico di commissario tecnico della nazionale italiana, il sistema puro, quale lo concepivano gli inglesi, non si adattava al calcio italiano. Il passaggio alla nuova impostazione tattica non era ancora completato, che già si cominciò ad apportare correzioni e adattamenti al modulo originario. Nel 1944, vincendo un Campionato di guerra non riconosciuto ufficialmente, la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia, guidata dal tecnico Barbieri, ex genoano e quindi tra i primi giocatori a praticare il sistema in Italia, aveva applicato il “mezzo sistema”, un ibrido fra metodo e sistema.
Uno schema simile a questo era stato adottato nella stagione 1946-47 anche dal Modena, che schierava un terzino, Remondini, a guardia del centravanti avversario e l’altro, Braglia, libero da marcature e pronto a intervenire in seconda battuta. Quel Modena arrivò secondo, dietro all’imbattibile Torino, miglior risultato di tutta la sua storia. Lo stesso Nereo Rocco, alle sue prime armi come tecnico della Triestina, si segnalò per una tattica che privilegiava la fase difensiva, sottraendo un uomo all’attacco per dotare la squadra di un ultimo baluardo, che la rendesse meno vulnerabile di fronte alle squadre più ricche, in grado di ingaggiare i più forti attaccanti stranieri.
La variante più famosa e geniale del sistema, rimasta legata al nome del suo ideatore, è però quella che consentì alla Salernitana di accedere, nel 1947, alla massima categoria. Il tecnico Gipo Viani, resosi conto che il parco giocatori della Salernitana era troppo modesto per affrontare con successo, uomo contro uomo, le avversarie più forti, mise in atto un accorgimento semplice ed efficace, schierando con il numero 9, quindi come nominale centravanti, un giocatore che aveva invece caratteristiche difensive. Questi, al fischio d’inizio, retrocedeva e andava a controllare il centravanti avversario, liberando così dall’incarico il proprio centromediano, che si portava alle spalle di tutti, per accorrere ovunque si aprisse una falla e rimediare all’errore di un compagno o allo spunto vincente di un avversario.
Questo sistema di gioco, che potenziava la difesa e impoveriva l’attacco, fu chiamato “vianema”, e si ispirava al verrou che il tecnico austriaco Karl Rappan aveva fatto giocare alla Svizzera nei Mondiali del 1938. Si trattava di una sorta di anticipazione di quel “catenaccio”, che sarebbe in seguito divenuto il simbolo della vocazione ostruzionistica del calcio italiano, in un’ottica spregiativa che andrebbe però rivista in sede critica. In realtà, quando venne applicato da grandi squadre, il catenaccio si rivelò una tattica efficacissima, utilizzando la quale l’Inter allenata da Foni vinse due scudetti consecutivi, nel 1953 e nel 1954. La mossa decisiva era l’arretramento dell’ala destra interista, Armano, che in fase difensiva prendeva il posto del terzino Blason, il quale a sua volta retrocedeva alle spalle degli altri difensori-marcatori con la funzione di “spazzino dell’area”.
Una volta in possesso di palla, l’Inter ripristinava le posizioni originarie e in tal modo rendeva più impenetrabile la difesa, ma non penalizzava l’attacco, quando manteneva l’iniziativa del gioco. Come sempre, la tattica era tanto più funzionale quanto più efficaci ne erano gli interpreti. Disponendo di attaccanti eccezionali (Lorenzi, Nyers, Skoglund), quell’Inter poteva permettersi di lasciarli talvolta in inferiorità numerica. Deve essere ricordato che Blason era già stato il battitore libero della Triestina di Rocco, che abbiamo ricordato come una delle prime squadre ad adottare quello che si poteva chiamare “mezzosistema”.