Michele Cragnolin

Top Founder Executive

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Storie di schemi: l’evoluzione della tattica.

2018-10-02 06:42:03

Quarta parte. Foto (1934) – cinque elementi dell’Arsenal di Chapman: Wilf Copping, Eddie Hapgood, Frank Moss, Ray Bowden, Cliff Bastin

Il “sistema” inglese o “WM”

Il “metodo” era la tattica ideale per un gioco essenzialmente tecnico, basato sull’abilità di palleggio e sui prolungati scambi di passaggi, e mal si adattava, quindi, al calcio inglese, che si sviluppava invece in chiave prevalentemente atletica, veloce, aggressiva, esaltando il tackle, cioè il duro contrasto uomo contro uomo per la conquista del pallone, ed era alla ricerca di un modulo di gioco più congeniale a queste caratteristiche. L’occasione fu offerta dalla modifica alla norma sul fuorigioco, apportata nel 1925 dall’IFAB (International football association board), l’ente preposto ai regolamenti internazionali.

Sino ad allora un attaccante che si trovasse più avanzato rispetto alla linea del pallone era considerato in posizione regolare soltanto se, al momento in cui partiva il passaggio destinato a raggiungerlo, almeno tre avversari (normalmente due più il portiere), si frapponessero fra lui e la porta. Si trattava di una regola penalizzante per il gioco di attacco: bastava infatti che uno dei terzini avanzasse, lasciando l’altro a presidio dell’area, perché il centravanti si trovasse sistematicamente in posizione irregolare. Come conseguenza, si era sviluppata la tendenza a mantenere il centravanti arretrato, con il ruolo di rifinitore per gli interni che, partendo da lontano, potevano arrivare al gol senza cadere nella trappola del fuorigioco. Nel 1925 l’IFAB ridusse a due (in pratica uno più il portiere) il numero dei difensori che un attaccante doveva avere tra sé e la porta, e stabilì inoltre che non esisteva fuorigioco nella propria metà campo.

La modifica favorì la ripresa del calcio offensivo. Fu Herbert Chapman, mediocre ex giocatore ma grande stratega, assunto dall’Arsenal per risollevare le declinanti sorti del club, a mettere a punto una nuova tattica di gioco, che da lui si chiamò Chapman system, e che si diffuse ovunque semplicemente con il nome di “sistema”. In questo schema tattico, la figura determinante rimaneva il centromediano che però, a differenza di quanto previsto dal “metodo”, veniva arretrato sulla stessa linea dei terzini, i quali a loro volta si allargavano sulle fasce laterali, dando vita a una difesa a tre. Il centromediano, piazzato nel cuore del reparto arretrato, doveva prendersi direttamente cura (a “uomo”, come si direbbe oggi) del centravanti avversario: nasceva così il ruolo specifico dello “stopper”. I due mediani laterali avanzavano e formavano, con le due mezzali, il quadrilatero di centrocampo, mentre le ali e il centravanti costituivano il terzetto di punta.

Rispetto al 2-3-2-3 del metodo, il sistema presentava un 3-2-2-3 e, nella rappresentazione grafica, la squadra non disegnava più due W, bensì una W e una M, ed è infatti con il nome “WM” che il sistema inglese si diffuse in tutto il mondo. Le differenze fra metodo e sistema potrebbero apparire poco significative, ma in realtà non cambiò soltanto la posizione sul campo di alcuni giocatori, quanto piuttosto l’intera filosofia di gioco. Le marcature divennero individuali, strette, a volte asfissianti; la frammentazione della partita in una serie di duelli uomo contro uomo determinò un calcio più aggressivo, meno tecnico e fantasioso, più veloce e fisico.

In Inghilterra il successo del sistema fu immediato, anche perché l’Arsenal, reimpostato da Chapman, uscì da un lungo periodo di crisi e ottenne una lunga serie di vittorie, conquistando una Coppa d’Inghilterra e tre titoli assoluti nell’arco di cinque anni. Questi positivi risultati indussero, come sempre avviene, molte altre squadre ad adottare il nuovo schema tattico: tutti i club inglesi si convertirono rapidamente al sistema, e anche in Germania il successo fu notevole (sotto la guida del tecnico Otto Nerz, i tedeschi furono la sola nazionale sistemista ai Mondali del 1934 vinti dall’Italia, che invece, come abbiamo visto, applicava il metodo). Nell’Europa centrale, culla della scuola danubiana, e in Italia il processo fu più lento.

Nel Campionato italiano la prima squadra ad adottare il sistema fu il Genoa, nella seconda metà degli anni Trenta, ma solo le vittorie in serie del Grande Torino - la cui superiorità era tale che avrebbe dominato con qualsiasi tattica, e che nel 1943 firmò il primo scudetto sistemista del calcio italiano - indussero nell’immediato dopoguerra a una generale conversione. L’ultima squadra ad abbandonare il metodo fu il Bologna. Alla nuova realtà, malgrado le resistenze di Vittorio Pozzo, metodista convinto, dovette arrendersi anche la nazionale azzurra, che però incontrò non pochi problemi nel cambio di impostazione.

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