Arte & Intrattenimento
Un 'icona oltre il pregiudizio
Artemisia Gentileschi.
Per molto tempo la pittura è stata una disciplina concessa esclusivamente ad individui di sesso maschile. Alle donne era negata la possibilità di rivestire un determinato ruolo sociale, perciò, la pittura non poteva essere un mestiere praticato dalle stesse. A partire dalla fine del ‘500 e l’ inizio del ‘600, però, alcuni talenti femminili cominciarono faticosamente ad emergere sul panorama artistico internazionale. Tra questi, degna di nota fu la pittrice Artemisia Gentileschi. Un’artista che, in un’epoca ancora tetra per le donne, riuscì a mettersi in luce grazie alla sua spiccata personalità e al suo indiscutibile genio.
Artemisia Gentileschi era figlia di Orazio Gentileschi, un artista toscano che risentì fortemente della pittura caravaggesca (soprattutto nell’uso di marcati effetti chiaroscurali) che, come vedremo, influenzerà anche la stessa Artemisia.
Nelle opere dell’artista le donne, presentate come eroine, sono le vere protagoniste. Una scelta, come vedremo, non dettata dal caso. Pertanto, prima di procedere all’analisi di alcune tra le sue più celebri opere a sfondo femminista, risulta necessario soffermarsi su un episodio personale della pittrice che ebbe un considerevole impatto non solo sulla sua vita più intima, ma anche e soprattutto sulla sua attività artistica. La sua notorietà, di fatto, raggiunse il proprio apice quando l’artista fu vittima di un terribile avvenimento. Siamo nei primi anni del ‘600 e Artemisia, allora diciottenne, subì una violenza carnale da parte di Agostino Tassi, maestro della prospettiva. La pittrice con estrema audacia ed eroicità decise di denunciarlo, ma, suo malgrado, si trattò di un processo piuttosto ostile nei suoi confronti la quale, per dimostrare l’attendibilità dell’accusa, giunse addirittura a sottoporsi ad alcune torture, tra cui lo schiacciamento delle dita. Indubbiamente, si trattò di una crudele tortura fisica e psicologica. Così facendo Artemisia Gentileschi diventò il simbolo di rivalsa delle donne nei confronti dei pregiudizi maschilisti del suo tempo. Dopo questo tragico fatto produsse opere in cui, con estrema chiarezza e insistenza, intenderà scagliarsi contro la sfera maschile. In particolare, due sono i dipinti che mostrano più efficacemente un atteggiamento disprezzante verso gli uomini: Susanna e i vecchioni (1610) e Giuditta che decapita Oloferne (1620), soggetti tratti dall’Antico Testamento.
La prima opera menzionata fa riferimento ad un episodio del Libro di Daniele.
La scena raffigurata nella seconda opera, invece, è ripresa dal Libro di Giuditta.
Al 1620 risale un'altra tela in cui viene mostrata nuovamente una volontà di riscatto della figura femminile nei confronti di quel sesso maschile che tanto l’aveva umiliata e addolorata. Si tratta dell’opera Giaele e Sisara.
Attraverso la sua arte la pittrice volle opporsi alla visione maschilista della sua epoca. Furono la sua determinazione e la sua innata abilità pittorica a definirne la fama mondiale di donna e di pittrice. Artemisia Gentileschi è entrata così a far parte di quelle icone femminili che ebbero il coraggio di scagliarsi contro i pregiudizi e le oppressioni sessuali di una società ancora mentalmente arretrata.
Immagini: Artemisia Gentileschi autoritratto come martire 1615
Susanna e i Vecchioni
Giuditta che decapita Oloferne
Giaele e Sisara .