ALLA SCOPERTA DEL MONDO DEL KARATE.
POSSIAMO SAPERE SENZA CONOSCERE? E FARE SENZA COMPRENDERE?
La non conoscenza e non comprensione dei tratti culturali, che distinguono ciò che facciamo, rischiano di fare nascere falsi miti e aspettative illusorie.
In questo articolo, vorrei condividere con voi una riflessione che mi è sorta spontanea, dopo un'interessante sessione di pratica di una delle due arti marziali che pratico: il kobudo di Okinawa.
Durante questa lezione, tenuta da una persona che ho conosciuto recentemente, ho avuto la possibilità di apprendere sia dal punto di vista tecnico, che da quello "teorico".
Ogni lezione di arti marziali dovrebbe contenere entrambi questi aspetti.
Capita spesso di iniziare a praticare una disciplina, un'arte o un'attività sportiva senza conoscerne le origini, la storia della sua evoluzione ed il significato che aveva per coloro che la crearono.
Non vi è nulla di sbagliato in questo. Rientra nella normalità delle cose, il non sapere prima di conoscere ed approfondire qualcosa. Diventa più anormale, quando a non sapere sono persone che praticano o svolgono quella determinata attività da diverso tempo.
Certo, per aver voglia di imparare servono due attitudini fondamentali: la curiosità e l'umiltà.
Indubbiamente serve anche avere passione per quello che si sta imparando, altrimenti diventa difficile che una persona possa scegliere di dedicare del tempo a conoscere e comprendere meglio quello che sta facendo.
Questo articolo ha due protagonisti: la conoscenza e la comprensione.
- La prima, come abbiamo visto, per essere arricchita richiede un grande impegno da parte della persona che intende saperne di più.
- La seconda richiede oltre allo sforzo di chi vuole capirne di più, anche la conoscenza e la preparazione di chi ha già raggiunto un livello tale da poter tramandare agli altri il proprio sapere.
Il maestro di una disciplina dovrebbe infatti essere in grado di trasmettere ad i propri allievi la conoscenza e la comprensione, maturate durante la pratica e lo studio. Risulta fondamentale quindi che a sua volta questa figura, abbia ricevuto i corretti insegnamenti da chi ricopriva e/o ricopre il suo attuale ruolo.
Per quando riguarda il mondo delle arti marziali, vi sono tantissimi esempi che testimoniano come questo meccanismo incide fortemente sul "cammino" dei numerosi artisti marziali.
Basta infatti partecipare ad un seminario in cui sono presenti praticanti appartenenti a scuole diverse, oppure basta fare delle ricerche online su vari temi, per scoprire quante diverse versioni esistono.
Sia chiaro, non voglio dire che tutti dovrebbero conoscere e tramandare le stesse cose, anche perché non esiste una verità assoluta. Però alcune informazioni ed alcune conoscenze di base, dovrebbero essere ben chiare a tutti, onde evitare confusioni ed incomprensioni.
Per capire meglio una disciplina bisognerebbe avere l'accortezza di "seguirne" le radici per arrivare al luogo dove questa è nata. Una volta raggiunta la fonte, si ha modo di approfondire la cultura all'interno della quale, quella tal pratica è nata e si è sviluppata.
Solo in questo modo è possibile raggiungere un grado di comprensione che consente, al praticante o all'appassionato di valutare se quanto gli è stato insegnato è coerente con il contesto storico, culturale e sociale di origine.
Nel caso specifico del karate e del kobudo di Okinawa, ad esempio, una delle prime cose che si apprendono quando ci si addentra nella cultura locale, riguarda uno dei grandi equivoci riguardanti queste arti marziali:
Il karate ed il kobudo non sono state create per combattere.
Purtroppo la concezione occidentale di queste arti è quella di discipline adatte al combattimento, grazie alle quali è possibile confrontarsi con altri combattenti provenienti dalla stessa o da altre discipline.
Diventa fondamentale capire cosa significa combattere e a quale scopo lo si fa. Se pensiamo al combattimento moderno regolato da regole sportive, atto a decretare un vincitore tra i due contendenti non vi è cosa più lontana dallo scopo originario delle arti marziali autoctone di Okinawa.
Quest'ultime infatti sono nate con l'obiettivo di soddisfare due esigenze molto sentite durante i secoli passati:
- DIFESA
- PROTEZIONE
In passato c'era la necessità di sapersi difendere in situazioni di pericolo che avvenivano più frequentemente rispetto ai giorni nostri. Inoltre per come erano organizzate le società vi era anche il bisogno di proteggere i propri cari ed i più deboli.
Se pensiamo attentamente a come si svolge un combattimento regolamentato all'interno di un "ring" e lo confrontiamo con le dinamiche tipiche di un combattimento che avviene in "strada" a seguito di un'aggressione, di una rapina o di un pestaggio, le diversità che emergono sono evidenti e ben comprensibili.
Il karate ed il kobudo tradizionali sono arti marziali ricche di tecniche molto efficaci in contesti di difesa personale proprio perché non seguono delle regole.
Infatti se osserviamo un moderno combattimento sportivo tra karateka, possiamo notare che le tecniche eseguite sono limitate a pochissime combinazioni. Se confrontate a quelle apprese nei kata (forme) queste tecniche sono molto semplici e non presentano degli elementi di rischio qualora dovessero anche arrivare a bersaglio.
Nei kata di karate e di kobudo, sono presenti tecniche che provocherebbero gravi danni a chi le riceve e questo giustamente non è concesso all'interno di un combattimento sportivo.
Questo esempio ci permette di capire come la conoscenza e la comprensione della cultura nella quale si è sviluppata una disciplina, sia di fondamentale importanza per non fraintendere quello che facciamo.
Voglio fare un altro esempio che mi è stato raccontato proprio dalla persona che mi ha spinto a questa riflessione.
Il kobudo di Okinawa prevede l'utilizzo di strumenti (armi) realizzati sfruttando quello che era possibile reperire nella vita di tutti i giorni. Una delle armi tradizionali, nonché la più utilizzata è il bastone lungo, chiamato in giapponese "BO" ed in dialetto okinawense "KON".
Quasi tutti i kata che prevedono lo studio di tale arma iniziano con una tecnica portata alla parte centrale del corpo o alle gambe.
Un giorno durante un seminario un ragazzo chiese al maestro di dimostrargli l'applicazione della prima tecnica di un kata di base. Questi gli mostrò l'applicazione ed il giovane rimase perplesso per qualche istante per poi replicare:
"ma per quale motivo devo portare questa tecnica alla parte bassa del corpo dell'avversario, quando sarei più comodo ed efficace a portarla alla sua testa"?
Il ragionamento del ragazzo era corretto e sensato.
Quello che non sapeva e che gli venne spiegato dal maestro è che il popolo di Okinawa è sempre stato pacifista e persino i suoi guerrieri erano considerati dei gentiluomini. Proprio per questo motivo uno dei valori tramandati attraverso le arti marziali riguardava il voler causare meno danni possibili all'aggressore proprio per questa indole.
Si preferiva quindi mettere fuori uso un arto o colpire in maniera efficace una parte del corpo che non consentisse all'avversario di continuare ad offendere, piuttosto che rischiare di togliere la vita ad una persona.
Questo approccio, tra l'altro molto in linea con il pensiero moderno di difesa, contraddistingue le arti marziali di Okinawa e le differenzia dalle altre arti marziali giapponesi nel quale invece si riteneva necessario uccidere con un solo colpo.
Da qui nascono anche le grandi differenze tra l'approccio a queste arti da parte dei giapponesi, che le modificarono andando ad attribuire loro dei principi non in linea con il pensiero originale.
CONCLUSIONE:
Solo se ci addentriamo nella cultura di origine di una disciplina possiamo provare a conoscerne e comprenderne il reale significato. Se ci basiamo solo ed esclusivamente sul "sentito dire" invece, rischiamo di continuare a pensare e tramandare immagini sbagliate.
Invito coloro che nutrono una passione nei confronti di qualcosa, a ricercare le origini, ad informarsi attraverso delle fonti attendibili, oggi molto più facili da consultare grazie ad internet e a non dare per scontato che tutto quello che ci viene raccontato sia vero.