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In che misura è compatibile il metodo scientifico con la leadership razionale?
Il metodo scientifico è un modello cognitivo, con un approccio strutturato, per conseguire una conoscenza certa, cosiddetta scientifica (epistemologia). Una conoscenza scientifica implica la formazione e la sperimentazione di un'ipotesi, formatasi attorno ad una serie di evidenze empiriche.
Forse, dopo una descrizione di questo tipo, la relazione tra leadership e metodo scientifico potrebbe apparire lontanissima, ma vi dimostrerò quanto questo sia lontano dal vero. Un leader esercita un'attività pratica, non un'attività di ricerca, tuttavia agisce in risposta ad una situazione ambientale caratterizzata da diverse variabili, tutte in gioco nel condizionare l'efficacia della sua azione. Quindi, si trova a dover interpretare e conoscere ciò che lo circonda. In questa attività, ci sono leader che si affidano a percezioni più o meno extra-sensoriali, altri che si affidano al puro intuito, altri alla sola esperienza personale e altri al caso, che, secondo me, compendia anche tutte le precedenti categorie. La mia proposta è quella di adottare, in via preferenziale, il metodo scientifico, ossia un metodo logico e sistematico per rimuovere gli impedimenti della soggettività, cosicché ogni giudizio del leader sia autenticato con prove oggettive. Intendiamoci, nessuno è così sprovveduto da pensare che l'adozione di un tale metodo renda infallibili i leader, lo stesso progresso scientifico ci dimostra che la conoscenza è il frutto di un percorso. Otto Neurath, filosofo a me non particolarmente simpatico, ha centrato una bella metafora del progresso scientifico dell'uomo, che qui provo a riassumere: è come navigare in mare su una barca e al tempo stesso continuare a costruire la barca stessa, cosicché, navigando, si impari a mettere a punto la propria imbarcazione, in base alle condizioni del mare. Il tutto in un processo continuo e, sostanzialmente, infinito.
Quindi, il metodo è parte dello sviluppo della conoscenza e la conoscenza è parte dello sviluppo del metodo.
Ecco in che misura intendo accostare il metodo scientifico alla pratica della leadership. Si tratta di una modalità di crescita personale, ma anche oggettiva, del leader all'interno di una costante ricerca della migliore sintonizzazione possibile con la realtà. E la realtà di un leader è costituita dal mercato, dai fattori produttivi, dalla gestione economica, dalla gestione patrimoniale e finanziaria e, su tutto, dalle persone. La scelta del metodo scientifico ha come primo straordinario effetto quello di minimizzare l'influenza dei pregiudizi nello scienziato sperimentatore (nel nostro caso nel leader). Sì, perché anche gli scienziati con le migliori intenzioni non possono sfuggire ai pregiudizi. Essi derivano da convinzioni personali, così come da convinzioni culturali, il che significa che l'uomo filtra le informazioni in base alla propria esperienza. Purtroppo, questo processo di filtraggio può indurre uno scienziato a preferire un risultato ad un altro. Non è forse lo stesso (forse peggio) per un leader? C'è da dire che per lo scienziato c'è la comunità scientifica, che rivede criticamente i risultati nel processo di verifica.
Qual è la "comunità scientifica" del leader? Semplice, il suo team.
È in quel contesto che il leader sottopone a verifica le proprie idee e le proprie teorie. Certo, è fondamentale che il "metodo scientifico" sia condiviso, ma questo è parte del compito formativo di un leader. Ripeto, la metodologia non mette al riparo dagli errori. Gli stessi scienziati commettono comunque degli errori. Per esempio, possono scambiare un'ipotesi per una spiegazione di un fenomeno senza eseguire esperimenti, oppure possono ignorare dati che non supportano l'ipotesi. La distorsione della conferma è la tendenza a scegliere i dati che supportano un'ipotesi, ignorando dati che non lo fanno. Conoscete leader che non siano mai stati vittime di queste distorsioni? Ciò detto, il più delle volte, il metodo scientifico funziona, e funziona bene. Ora facciamo un passo ulteriore. Quando un'ipotesi, o un gruppo di ipotesi correlate, sono state confermate attraverso ripetuti test sperimentali, esse diventano una teoria.
Le teorie hanno una portata molto più ampia delle ipotesi e possiedono un enorme potere predittivo. La teoria della relatività, per esempio, prevedeva l'esistenza di buchi neri molto prima che ci fossero prove a sostegno dell'idea. Va notato, tuttavia, che uno degli obiettivi della scienza non è quello di dimostrare che le teorie sono giuste, ma di dimostrare che si sbagliano (Popper). Quando ciò accade, una teoria deve essere modificata o scartata del tutto. Analogie con la pratica della leadership? Un leader nel suo lavoro quotidiano formula svariate ipotesi, che cerca di verificare nel corso della sua attività. Il tutto si svolge dentro un processo che è analogo a quello scientifico, infatti il leader è (o dovrebbe essere) alla costante ricerca delle relazioni che rendono coerenti le differenti ipotesi, al fine di costruire una teoria che compendi le ipotesi stesse. Il disegno di una teoria serve a disporre le informazioni dentro un modello che sia logico e coerente. È questo che permette la predittività, elemento fondamentale per la scienza, ma non meno per la gestione di un'azienda. Inutile ripetere che anche le teorie sono sottoposte a costante revisione della comunità scientifica, leggi "team" per il leader.
Ma che fine ha fatto l'intuito? E la capacità empatica del leader?
Nulla di tutto questo è perso, anzi. Il metodo scientifico non snatura il leader, come non snatura lo scienziato. La libera intuizione continua e continuerà a illuminarci come esseri umani, al di là delle nostre occupazioni. La scelta di un metodo è solo una modalità di contenimento di fattori casuali che potrebbero interferire con la ricerca del "vero", sia esso la spiegazione di un fenomeno fisico, sia esso l'interpretazione di un evento aziendale. Lo stesso vale per le relazioni umane. Uno scienziato non perde il contatto con la realtà che lo circonda, a meno che non si voglia coltivare lo stereotipo dello scienziato "pazzo", ma la integra nella propria esistenza, come fonte di ispirazione e arricchimento. Le nostre relazioni personali e la nostra capacità d'interagire con ciò che ci circonda, per primi i nostri simili, sono un complemento emozionale, ma anche razionale. Disconoscere il proprio dolore o quello degli altri, non saper godere di una nostra gioia o di quella delle persone che ci sono care, è un grave deficit intellettuale. Interpretare e riconoscere gli stati d'animo delle persone con le quali viviamo e lavoriamo è una componente imprescindibile proprio di quell'approccio scientifico di cui si parlava più sopra. Ignorare le componenti soggettive e psicologiche è un errore di merito e, scientificamente parlando, di metodo, che un leader razionale non compie mai.