Giovanni Bonomo

Dell’armonia universale e dell’universale giuridico

2020-03-02 15:01:49

Il mio primo scritto da blogger risale al 27 luglio 2003. Ne ripropongo di seguito il testo e ne faccio omaggio alla memoria di Giordano Bruno, in particolare per il suo saggio "De la Causa, Principio et Uno"

L’obiettivo dell’alchimista è di essere “uno” con l’Universo; egli considera che tutto è nato dall’Uno e che quest’Uno si è frazionato: ed è nata la nostra realtà. Se questa realtà risulta dal frazionamento dell’Uno, è dunque possibile ritornare all’Unità partendo da ogni cosa, così come ogni foglia di un albero ci riconduce al tronco. 


L’alchimia è un mezzo con cui l’uomo può ritrovare il proprio posto e riallacciare il dialogo con la natura, con se stesso e con gli altri. La tendenza verso l’equilibrio, l’unità, in sintonia con l’energia dell’Universo, permette di trasformare la materia del nostro corpo in luce: ci permette di metterci in risonanza con l’Universo così che la nostra pietra filosofale interna possa esprimersi. L’intuizione alchemica di base risiede in una prospettiva cosmologica globale che correla i metalli al cielo e ai pianeti; pertanto ogni trasformazione, al di là delle apparenze, non è di natura caotica e casuale perché favorita dagli influssi intelligenti (energheja) del cielo sulla terra. Pertanto nella tradizione dell’alchimia metallifera piombo, ferro, stagno, rame, mercurio, sono soggetti alla corruzione, mentre due (argento, oro) sono incorruttibili, non soggetti al decadimento fisico prodotto dal tempo. 


Ma le radici concettuali dell’ALCHIMIA affondano nell’antichissima cultura cinese, secondo la quale la vita si basa sull’alternanza di due princìpi opposti ma complementari: lo YANG, che rappresenta il principio “Cielo – Sole – Maschio” e lo YIN che rappresenta il principio “Terra – Luna -Femmina”. Essi realizzano un’inversione di proprietà attive e passive che viene generalmente simbolizzata da un cerchio in cui una doppia spirale a rotazione inversa genera un polo bianco in un semi-campo nero e viceversa un polo nero nell’altro semi-campo bianco. In questo disegno è anche la rappresentazione del divenire cosmico, del ciclo universale, dell’infinito.


L’ipotesi del continuo è stato già un famoso postulato dovuto al grande matematico George Cantor (1845 1918), con la teoria degli insiemi numerabili e delle corrispondenze biunivoche. Prima de L’infinito di Giacomo Leopardi (1798 1837) vi furono alcune riflessioni, non meno poetiche per la loro bellezza logica, sull’infinito potenziale e sull’infinito attuale, a partire dalla matematica greca, tra le quali si ricordano: Zenone e il paradosso di Achille e la tartaruga; Eudosso e il metodo di esaustione per imbrigliare l’infinito; Euclide, l’infinito potenziale e il teorema dell’infinità dei numeri primi; Archimede e l’uso dell’infinito attuale. Dopo Cantor si ha la nascita dell’analisi infinitesimale e del concetto di limite (I. Newton, G. Leibniz e A. Cauchy), e da ultimo delle curve patologiche e dei frattali (Peano, von Koch, Sierpinski). 


Diceva davvero la verità Giordano Bruno, morto sul rogo di Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio 1600. Dopo 400 anni anche la Chiesa se ne ravvede, scusandosi per le colpe del passato, come sempre è costretta a fare per restare al potere pure a fronte del progresso e della civiltà laica. Egli fu l’artefice profonde innovazioni soprattutto in campo scientifico, in quella scienza che allora muoveva i primi timidi passi per liberarsi da secoli di immobilismo dogmatico.

Nato nel 1548 a Nola, Giordano Bruno entrò presto nell’Ordine domenicano dove rimase però solo dieci anni, insofferente alle rigidità ecclesiastiche. Insegnò filosofia ed astronomia a Parigi, Ginevra e Londra, dove incontrò sempre una forte opposizione alle sue teorie. Nel 1591 tornò in Italia, a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo: fu proprio quest’ultimo a vigliaccamente denunciarlo, l’anno seguente, all’Inquisizione. Nella città lagunare Giordano Bruno riuscì a contrastare gli Inquisitori, ma trasferitosi a Roma, dopo un secondo processo durato ben sette anni, trovò il suo triste destino.


Il più grande merito del filosofo campano è di aver proposto in sostituzione dell’antico modello cosmologico aristotelico un universo infinito dove finito ed infinito stesso, come tutti gli opposti, coincidono. È la “coincidentia oppositorum“: la coincidenza tra Finito ed Infinito, con l’uomo stesso considerato da Giordano Bruno un essere “infinitamente finito“. La nostra innata tensione nei confronti dell’Universo (infinito) non avrebbe un carattere religioso, bensì metafisico, poiché è naturale il desiderio dell’uomo (che è certo essere finito ma ha in sé una parte infinita) di ricongiungersi con l’Infinito Globale, rappresentato dalla Natura. 


Così Dio, che si identifica nella Natura stessa, si manifesta nell’uomo, e quest’ultimo, finito, trova parte integrante nell’Infinito: ecco la coincidenza degli opposti. Nella Cena delle ceneri il filosofo riduce il modello cosmologico aristotelico fino ad allora in auge ad una semplice ipotesi, e come tale dello stesso valore di altre proposte: nemmeno Niccolò Copernico nel suo De revolutionibus orbium celestium aveva osato tanto, limitandosi a proporre la sua concezione eliocentrica come semplice ipotesi matematica. Giordano Bruno si batté contro la teoria aristotelica del “Motore Immobile che tutto muove“, proponendo una visione dell’Universo dove ogni corpo celeste si muove di una forza propria, che lo spinge verso un suo simile: è l’embrione della teoria meccanicistica dell’Universo che diverrà fondamento della moderna scienza astronomica, esposta nell’opera forse più nota del filosofo, De l’Infinito, Universo e Mondi (vedi all’indirizzo http://digilander.libero.it/bepi/infinito/index.htm).


Di qui egli passa alla formulazione dell’infinità stessa dell’Universo e dei mondi che lo abitano, teoria del tutto nuova e profondamente rivoluzionaria. Trent’anni prima di Galileo il filosofo Bruno andava oltre le prossime scoperte astronomiche dello scienziato, intuendo l’esistenza di innumerevoli sistemi solari, nessuno dei quali centrale (superando non solo il modello geocentrico di Tolomeo ma anche quello eliocentrico di Copernico) e credendo ad un panteismo (“tutte le cose sono divine“) che le moderne scoperte della fisica quantistica sono costrette ora a teorizzare (il c.d. campo unificato, l’entità basilare dell’Universo, che dà origine ad ogni manifestazione in natura). Oggi potenti radiotelescopi scandagliano il cielo alla ricerca dei segnali di civiltà extraterrestri: quattro secoli fa pensare che l’uomo non fosse l’unico abitante del cosmo non dovette essere in effetti impresa facile.

Di questa tendenza all’UNITÀ è anche espressione il diritto. Le varie regole giuridiche rinvenibili presso i popoli, in dipendenza delle loro condizioni di vita, politiche, culturali, religiose, del territorio, del clima e dell’epoca storica vissuta, appartengono sempre alla stessa categoria logica: la nozione di giuridicità e l’idea di giustizia alla quale la prima è improntata. Tale nozione trascende il diritto positivo, le disposizioni di legge e i precetti, anche di costume e consuetudinarie, di un qualsiasi organismo sociale, in quanto è un principio necessario, una forma logica insita nel nostro intelletto umano. 


Non mi risulta possibile negare la necessità del concetto di diritto naturale quale parametro di riferimento degli ordinamenti giudici validi e giusti in relazione alla nostra esperienza morale: è esigenza fondamentale della coscienza umana concepire l’idea di giustizia come assoluta. Senza norme immutabili, che derivano dalla morale della convivenza umana, il sistema giuridico diventerebbe arbitrio della volontà di un qualsiasi legislatore, e non espressione di giustizia, come avvertiva Cicerone (106 a. C. – 43 a.C., http://www.filosofico.net/ciceroleggi1.htm) nel De legibus. Emerge la necessità di recuperare, anche nel nostro tempo, ed anzi oggi più che mai per le pericolose manifestazioni di relativismo etico, il valore e il significato dell’UNIVERSALE GIURIDICO, che è stato e sarà sempre alla base dell’umana convivenza e fondamento della democrazia.


L’universale giuridico non vive in un mondo immutabile, come credevano gli antichi giusnaturalisti, e nemmeno nella sfera delle idee platoniche o dei numeni kantiani: è creato dal pensiero e dalla mente umana che nulla presuppone prima di sé o al di sopra di sé, e solo in questo senso può considerarsi come valore immanente, che non si esaurisce in alcun momento della sua attuazione concreta. La ricerca dell’Uno, dell’Assoluto, dell’Eterno è oggetto non solo della filosofia in genere, ma anche, in particolare, della filosofia del diritto, che cerca di definire l’universale giuridico, di cogliere l’essenza della giuridicità al di là dei vari sistemi giuridici e dei momenti storici.


Secondo G. Del Vecchio (http://fildirg100.giu.uniroma1.it/RIFD.htm), la giuridicità consiste in quella determinazione bilaterale per la quale alla facoltà di un soggetto corrisponde l’obbligazione di un altro: risulta quindi essere una categoria logica che ha il carattere dell’universalità, che comprende l’esperienza giuridica contingente ma non si esaurisce in essa, contenendo potenzialmente il diritto di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo. De Ruggiero dà una definizione del diritto come norma delle azioni umane nella vita sociale, stabilita da un’organizzazione sovrana ed imposta coattivamente all’osservanza di tutti (G. De Ruggiero – F. Canfora, Breve storia della filosofia, 1967, Laterza ed.). Ma una tale definizione non sarebbe possibile se in noi non esistesse, prima dell’esperienza sensibile, una nozione universale del diritto che ci renda conoscibile il diritto fenomenico, se non esistesse cioè nella nostra mente un dato di riferimento assoluto, vale a dire quella categoria logica sopra richiamata.


L’universale giuridico è il comune genere delle due specie: diritto naturale e diritto positivo; è una forza universale di cui il diritto naturale e quello positivo sono manifestazione. A riprova basti pensare che i diversi sistemi giuridici cadono, ma l’idea di giustizia che anima gli uomini e le rivoluzioni sopravvive. Il processo di sostituzione del diritto naturale, che avverrà gradualmente tramite evoluzione o celermente tramite rivoluzione, al diritto positivo risponde a un’esigenza naturale che si regge sull’unità dello spirito umano. Quando, secondo le parole di G.B.Vico (http://it.wikipedia.org/wiki/Giambattista_Vico), i semi eterni del giusto, sepolti nel genere umano, avranno germogliato e completato il loro frutto, allora la persona umana a avrà conseguito il più elevato e pieno riconoscimento. Non sarà più un’utopia pensare ad una societas umani generis basata su un coordinamento giuridico, grazie anche a Internet e all’evoluzione della c.d. società dell’informazione, di regole giuridiche valide per tutta l’umanità. 

Giovanni FF Bonomo - Candide C.C.

http://www.ipotesi.net/ipotesi/articoli.htm





Fonte: https://alchimista1.blogspot.com/2018/06/carissimiblogger-vi-informiamo-che-il.html 

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