Giusy Gil Mammana Parisi

Letture in tempi di coronavirus: il Diario di Anna Frank, ATTO SECONDO

2020-04-26 03:27:25

Credo che nessuno disconosca la storia di Anna Frank. L'abbiamo studiata quando eravamo alle medie, forse perfino alle elementari. Ma caso mai qualcuno se la fosse persa per ragioni curriculari scolastiche in cui la lettura non ne fosse prevista, segue un piccolo quadro della vicenda.

Il retrocasa

Questo era il titolo originario del Diario di Anna Frank, così chiamato a causa dei due anni vissuti nella dépendance della ditta del papà Otto e del suo socio. Uno spazio di 50 metri quadrati (forse eccettuata la mansarda sovrastante) che se per quattro persone (i coniugi Frank e le figlie, Margot e Anna) poteva dirsi sufficiente, vi abitò il doppio e senza poterne mai uscire. Mai, fino alla deportazione. 

Era l'epoca delle leggi razziali e la neutralità dell'Olanda durante la seconda guerra mondiale non giovò al paese, dato che le truppe tedesche la invasero comunque, imponendo la persecuzione ebraica (e non solo, altri gruppi etnici vennero deportati, nomadi in primo luogo a ruota dopo gli ebrei, anche se in pochi ne parlano). Che colpa avevano una ragazzina tredicenne, la sorella maggiore sedicenne e un altro ragazzino quindicenne (Peter, il figlio dei Van Pels, Van Daan nel Diario) degli sconvolgimenti europei? Nulla, eppure dovettero scappare a nascondersi per evitare (anzi, per meglio dire, per ritardare) il campo di concentramento. Otto Frank aveva pensato che l'edificio sede della società che dirigeva assieme a un caro amico olandese fosse un buon posto per nascondersi, perchè la dépendance non si faceva visibile dalla strada trafficata. La facciata e le mura della costruzione lo nascondevano per bene, il cortiletto interno ancor meglio nascosto. Allora vi trasportò tutta la mobilia che potè, ma non vi fu tempo per organizzare il trasloco a dovere, a causa di una convocazione della polizia alla figlia Margot, che quindi anticipò la fuga di tutta la famiglia verso l'alloggio segreto. All'inizio i Frank erano soli, ma Otto voleva salvare altri ebrei. Sembra che ci fu un battibecco con la moglie Edith, parrebbe che quest'ultima non volesse ospiti inizialmente. Il tempo le diede forse purtroppo ragione, ma nel momento del bisogno, poteva davvero Otto Frank agire diversamente? Otto aveva in capo una grossa responsabilità e purtroppo pagò molto cara la sua decisione, dato che fu l'unico sopravvissuto al campo di concentramento di tutti e 8 gli abitanti del retrocasa, perdendo tutta la famiglia e pure gli amici. I primi ospiti furono una coppia con un figlio adolescente, Peter, con cui Anna visse un piccolo idillio poco prima della cattura. Ma c'era ancora un po' di posto e il signor Frank fece venire un dentista, rimasto solo dopo che la moglie era riuscita a fuggire negli States. Il retrocasa era divenuto allora troppo piccolo e Anna fu costretta a dividere con l'ultimo ospite la stanzuccia in cui dormiva. I Van Pels/Van Daan finirono a dormire nella cucinotta, Margot assieme ai genitori e Peter in soffitta. Cose che i più aborriscono in condizioni normali, ma in tempi di guerra si fa questo e altro. Però si sa, la promiscuità incessante alimenta le divergenze, le divergenze alimentano gli attriti e gli attriti, quando si abbassa la guardia, fanno scoppiare anche liti furibonde. Le liti furibonde non sono certo l'ideale quando si deve stare nascosti. All'inizio della reclusione forzata, Anna scriveva che tutti gli abitanti del retrocasa dovevano strettamente osservare orari di silenzio assoluto, non potevano nemmeno usare lo sciacquone del WC. Questo perchè la ditta di Otto Frank e del socio non poteva certo fermarsi. Se l'avesse fatto, i sospetti della Gestapo non avrebbero tardato ad affiorare. Il guaio era che assieme agli amici di vecchia data della famiglia Frank, nella ditta è possibile che lavorasse gente disposta a vendersi la propria madre pur di collaborare con la polizia verde. Si è infatti sospettato ora di un magazziniere nuovo arrivato, descritto come ficcanaso, ora della sorella di una delle benefattrici degli otto ebrei, la dattilografa del signor Frank. Ma si sospetta anche di anonimi ladri, dato che l'edificio ne veniva spesso visitato. Il punto è che però le urla durante i litigi, pure che a tarda ora, impossibile che non venissero udite da qualcuno, chiunque fosse. Anna scriveva nel suo diario che a scatenarli erano spesso lei stessa e la madre di Peter, che sembravano non sopportarsi affatto. Ma anche Edith e la Van Pels, entrambi i coniugi con Otto, Anna e la madre. Il 27 aprile 1943 Anna iniziava così il suo Diario: Cara Kitty, tutta la casa risuona di litigi. Non certo l'ideale per ebrei nascosti. Uno dei motivi scatenanti le liti consisteva nella scarsità di viveri, dura realtà tipica dei tempi di guerra. Ancora più dura per ebrei nascosti, che ovviamente non potevano presentarsi al mercato con le tessere personalmente senza firmare la loro condanna a morte. Per mangiare, erano praticamente alla mercè dei loro benefattori e dei commercianti al dettaglio che, pur capendo che la merce acquistata in quantità sproporzionata per una coppia senza figli (Miep e il marito), non facevano la spia. 

A proposito, Kitty è il nome che Anna diede al suo Diario, per lei il migliore amico.