Giusy Gil Mammana Parisi

Il bibliotecario francese: cap. XXIV

2019-08-22 20:43:25

Immagine raffigurante l'atteggiamento di Alberta verso i suoi figli. Sin da concepiti, è sempre stata pronta al sacrificio estremo per amor loro, il primo dei quali, quello di darli in adozione, pur di non farli morire di stenti e di fame con una madre senzatetto. Come potè riunirsi a loro? Vedrete.

CAP. XXIV 

Il parto era stato molto facile, senza alcuna complicazione. Il giorno seguente Alberta era già in piedi. Fisicamente poteva dirsi che vantava una salute florida, ma il suo cuore era a pezzi. Dopo aver visto i suoi piccoli per l'ultima volta nel nido dell'ospedale, subito prima delle dimissioni, si era recata presso l'ufficio dell'assistente sociale che si era occupata dell'adozione. La signorina Simone Fraga era una ragazza davvero gentile, caratteristica sempre più rara a quei tempi. Il suo stesso aspetto le conferiva un'aria amichevole, da cui si intravedeva affidabilità. Bruna e snella, di statura a stento nella media, di fronte a una piccola donna come Alberta sembrava quasi alta. Era di qualche anno più vecchia di quest'ultima, ma appariva più giovane, forse per la corporatura ben più esile o forse per via di un visetto tondo dagli sparuti occhi scuri, che un paio di grandi occhiali facevano sembrare ancora più piccolo. Non poteva dirsi una bella ragazza nel senso moderno del termine, a causa di qualche asimmetria nel viso e nella figuretta, non appariscente, ma comunque graziosa. Portava i capelli scuri raccolti in una lunga treccia. 

Era arrivato il momento di apporre le ultime firme per il procedimento di adozione e Alberta aveva approfittato per chiedere un favore alla signorina Fraga, cioè di fare in modo che due catenine d'oro che possedeva seguissero i neonati. Un regalo fatto con amore, l'unico che avrebbero potuto ricevere dalla madre biologica. Non gliele aveva messe al collo appena nati, per paura che accidentalmente potessero strozzarli. La signorina Simone era commossa: ovviamente, per via del suo lavoro, conosceva bene i motivi che avevano spinto Alberta a dare i suoi figli in adozione. Una mamma disposta al sacrificio della rinuncia per amore. Sin dall'inizio del procedimento si era sentita toccata da quel caso disperato, dunque si era scervellata per tutto il tempo sul da farsi per trovare una soluzione adeguata in proposito. In un paese del sud Europa che oramai da centinaia di anni non conosceva più alcun sistema pubblico di welfare, del quale si poteva appena leggere nei vecchi libri di storia, una mamma era stata costretta a rinunciare ai suoi neonati pur di non farli soffrire per fame e miseria, condannandoli per strada a morte certa. Dopo aver preso le catenine, anziché consegnarle i documenti da firmare, Simone Fraga si era seduta a trafficare al computer lasciando Alberta in attesa. 

-Mi aspetti solo qualche minuto-. Dopo poco prese il suo telefono personale, anziché quello dell'ufficio, e compose un numero. 

-Buongiorno, ho bisogno di parlare con Mary White. Le dica che al telefono è Simone Fraga- disse alla persona che aveva risposto alla chiamata.

Quel nome non suonava nuovo ad Alberta. La sua professoressa di chimica, quando ancora era una studentessa di scienze infermieristiche, si chiamava Mary White. In quel momento doveva essere abbastanza in là con gli anni. Era di origine inglese, ma aveva sposato un portoghese, Xavier Coimbra, cattedratico di matematica nella stessa università. Alberta rammentava bene che aveva sempre trattato gli studenti con molta umanità, pur essendo parecchio esigente. Dopotutto aveva ragione a essere severa, i professionisti in ambito sanitario avevano a che fare con la salute e la vita delle persone. Le sovvenne soprattutto un discorso dell'anziana professoressa, che le era rimasto bene impresso nella memoria. Gielo aveva sentito ripetere spesso durante le lezioni, quando la chimica s'incrociava con la bioetica: -Ragione e fede non sono affatto nemiche. Non si escludono. La prima è il punto di partenza e l'altra quello di arrivo. La seconda inizia dove la prima finisce. 

Alberta aveva avuto un ottimo rapporto con i suoi professori e trovava illuminante il loro modo di vedere la scienza. Era alquanto insolito che uno scienziato del centro o del sud dell'Europa non fosse un ateo che proclamasse il trito e ritrito clichè secondo il quale la fede è la peggior nemica della scienza. Ma il professor Coimbra e la professoressa White erano cristiani protestanti che risolvevano con poche parole la secolare spinosa questione della contrapposizione tra scienza e fede. Per loro era pacifico che tale conflitto non era altro se non il risultato di una somma ignoranza di sottofondo. 

-Anche se la scienza umana presenta i suoi limiti, non vuol certo dire che per chiunque nella propria vita faccia spazio alla fede cristiana sia un errore dedicarsi al suo studio. Limitata non significa sbagliata, limite ed errore non sono sinonimi- affermavano.

Alberta ricordava che il professor Coimbra e la professoressa White, ancor prima del semestre in cui si sarebbe laureata, erano stati trasferiti in una università della capitale, a seguito di avanzamento di carriera. E ora, qualora non si fosse trattato di un'omonimia, la sua antica insegnante sembrava poter fare qualcosa per lei.