Giusy Gil Mammana Parisi

Il bibliotecario francese: cap. XXIII

2019-08-19 03:59:54

In questo capitolo, il primo di una serie di flashback, si svela il mistero delle catenine d'oro che per Adriana e Nico rappresentano un valore affettivo. Loro sanno essere un regalo dei genitori (ufficiali). Ma è davvero così? Perchè le iniziali LL? Lo scoprirete leggendo...

CAP. XXIII parte prima

All'incirca venticinque anni addietro, Alberta era una giovane infermiera che lavorava in un ospedale pubblico di Porto. Era sposata con Lourenço Lampreia, un  ragazzo biondo e gentile, un muratore che non aveva un gran che da offrirle in termini finanziari, ma tutto l'affetto, il rispetto e la fiducia che ogni donna poteva aspettarsi da un marito. Erano poveri, o meglio, di condizioni molto modeste, ma sereni, anche se in quel momento Lourenço rischiava seriamente di perdere il suo precario lavoro a causa della grave crisi edilizia che manteneva il Portogallo in ginocchio. In realtà quasi tutto il pianeta sembrava trovarsi in un punto di non ritorno, come se l'economia mondiale non volesse più riprendersi, quantomeno non del tutto. Nel ventunesimo secolo era iniziato nel sud dell'Europa un evento noto ai contemporanei come Grande Depressione, ma mentre all'inizio si intravedevano, di quando in quando, sprazzi di miglioramento, ora sembrava che la crisi colpisse in maniera ancora più implacabile. Nel ventitreesimo secolo si era allargata a macchia d'olio in quasi tutto il globo e oramai, nel ventiseiesimo, soltanto pochie nazioni riuscivano discretamente oppure a stento a tenersene fuori. Lourenço comunque non si perdeva d'animo: era sicuro che ce l'avrebbero fatta. Alberta, dal canto suo, era certa che se un giorno avessero dovuto contare solo sul suo stipendio da infermiera non sarebbe stato un gran problema. Inoltre aspettava da tempo una promozione con conseguente aumento, essendo molto abile nel suo lavoro, ben più di parecchi colleghi. Quello che nessuno dei due invece s'aspettava fu l'improvvisa morte di Lourenço, causata da un'esplosione nel cantiere ove in quel momento stava lavorando in nero. E anche se oramai il governo portoghese aveva legalizzato il lavoro nero al solo fine di non ridurre la stragrande maggioranza della popolazione alla fame e a vivere nelle strade, ovviamente ad Alberta non riconobbero alcun indennizzo. La morte di Lourenço, pur cagionandole immenso dolore, non l'aveva ridotta in uno stato di prostrazione totale perché si era appena resa conto di essere incinta. Doveva farsi forza per i gemelli che stava aspettando, un maschietto e una femminuccia. Lourenço non avrebbe mai voluto vederla abbattuta a causa sua e lei voleva tenere fede alla sua memoria, ringraziando per i begli anni che insieme avevano trascorso. Ma i guai per la donna non erano finiti: la bolla edilizia aveva colpito le metropoli portoghesi, tra le quali proprio Porto, più duramente rispetto alle altre regioni del paese, al punto che finanche l'ospedale dove Alberta lavorava si era ritrovato con i conti altamente in rosso. A quel tempo anche le strutture sanitarie di gran parte d'Europa erano quotate in borsa e gli ospedali pubblici non facevano eccezione. Cosa impensabile fino cinquecento anni prima, quando unicamente le società di diritto privato potevano accedere alla quotazione nei mercati finanziari. I grandi lavori di ristrutturazione e l'apertura di nuovi blocchi edilizi che dovevano servire a ingrandire i reparti dell'ospedale pubblico di Porto avevano fatto precipitare l'amministrazione nel baratro, una volta che i valori in borsa della società sanitaria erano inaspettatamente crollati. A dispetto della bolla edilizia, fino ad allora le quotazioni di un rinomato ospedale non erano mai precipitate così in basso come era accaduto all'ospedale di Porto. L'amministrazione ospedaliera, quindi, per non dichiarare fallimento a seguito degli enormi debiti contratti per costruire, divenuti purtroppo impagabili, non fece altro che licenziare la metà dei dipendenti, cioè quelli con minore anzianità di servizio, tra cui proprio Alberta. La donna, abbastanza fresca di laurea, aveva allora soltanto tre anni lavorativi alle spalle, quindi non raggiungeva la soglia decennale che le avrebbe permesso di mantenere il posto. Nel giro di pochi mesi si era ritrovata vedova e disoccupata, a soli ventiquattro anni di età. E senza sapere come pagare l'affitto del pur modesto appartamento in cui viveva, né come avrebbe fatto a mantenere i due figli in arrivo.

CAP. XXIII parte seconda

Nessuno si azzardava in quel momento ad assumere una donna in gravidanza, che rappresentava contributi da pagare a fronte di mansioni non svolte a causa di assenze dal lavoro dovute a eventuali malori concernenti tale stato e permessi di maternità, una volta nati i figli. Nel culmine della Grande Depressione, quasi ovunque la paura aveva preso il posto della compassione e l'amicizia si misurava in base alla salute del borsellino, sia proprio che altrui. Sovente neanche i parenti più stretti correvano in soccorso dei propri congiunti. Ad ogni modo Alberta non aveva alcun familiare e neppure Lourenço. I loro genitori erano deceduti prima che si sposassero ed entrambi erano figli unici, condizione del resto comune alla maggior parte dei portoghesi della loro generazione. Durante la gravidanza la donna non era riuscita a comprare nulla per i suoi piccoli, perché gli ultimi spiccioli che le erano rimasti le erano bastati appena per vivere, effettuare le dovute visite mediche imposte dal suo stato e pagare l'ospedale in cui avrebbe partorito. Il padrone dell'appartamento aveva minacciato più volte lo sfratto, lamentando che anche lui aveva molte spese da sostenere e il denaro dell'affitto gli serviva davvero.

Alberta era sempre stata una donna coraggiosa. La prospettiva di riempire le fila dei sempre più numerosi senzatetto non le avrebbe fatto gran paura, se non fosse stato per la consapevolezza che i suoi piccoli sarebbero stati costretti a condividere tale sorte. E allora aveva preso una decisione drastica e dolorosa. Aveva deciso, per il bene dei gemelli, di darli in adozione. I neonati non dovevano patire per le strade, dove con tutta probabilità non sarebbero sopravvissuti. Una volta dimessa dalla maternità non avrebbe avuto più una casa in cui allevarli. Il proprietario dell'appartamento aveva già iniziato le pratiche per lo sfratto esecutivo. Al momento del ricovero portava con sé soltanto uno zaino con pochi vestiti, alcuni libri e qualche effetto personale. Gli unici beni di un qualche valore commerciale che possedeva erano le fedi nuziali sua e di Lourenço e due catenine d'oro, ciascuna con un ciondolo in cui erano intagliate le iniziali LL, quelle del defunto sposo. I libri avrebbe potuto venderli per pochi spicci che non sarebbero valsi la pena di fronte al sacrificio di privarsene. Sarebbero stati la sua unica compagnia, una volta adottati i nascituri. Quanto alle catenine, non le aveva vendute per poterle donare ai figlioletti una volta nati e le fedi, che a parte qualche foto rappresentavano un ricordo di Lourenço, le avrebbero appena permesso di comprarsi un tozzo di pane per qualche tempo, una volta fuori dalla maternità. Per il resto, Alberta non aveva più un solo centesimo.