Giusy Gil Mammana Parisi

Il bibliotecario francese: cap. XV

2019-07-04 01:32:35

Le chiavi del mistero: ronzano come api nella testa di Nico. Quella dorata ha all'estremità un anello, che in certi scacchi artistici può figurare come la corona di uno dei pezzi più "top": regina e re. Questa volta lascerò da parte le "altre storie" perchè il cap. XV è corposo. Spero vi piaccia...

CAP. XV parte prima

Le chiavi, giusto, si ricordò Nico. Ci aveva pensato fino a quando lui e sua sorella erano entrati nello studio dell'arrogante professor Podger, dopodiché se ne era per poco dimenticato a causa dei rimbrotti di quest'ultimo. Rimaneva il mistero di come Trent avesse potuto aprire i loro armadietti senza le chiavi, quando d'improvviso ebbe un guizzo di memoria. Durante il ricovero per la malattia non aveva più toccato il suo camice, ma ora ricordava che quando era in cella, in un momento di nervosismo, aveva cacciato la mano nella tasca dove doveva esserci la chiave del suo armadietto e non l'aveva trovata. Non aveva avuto neppure il tempo di allarmarsene perché nel frattempo era stato prelevato per l'interrogatorio. Si fermò un attimo a pensare. La macchia di caffè sul suo camice. Un piccolo e debole indizio che con un grande sforzo e un ottimo avvocato avrebbe potuto salvare Alberta da una sicura condanna e restituire a lui e a sua sorella la buona reputazione perduta.

-Adriana, devo prendere il mio camice immediatamente, tu cerca il tuo e controlla se c'è la chiave in tasca. Spero solo non abbiano portato il mio in lavanderia mentre eravamo ricoverati, visto che non ero in condizioni di andare a conservarlo nel guardaroba- disse il ragazzo concitatamente. 

-Nico?-. La sorella lo guardò con fare interrogativo. Fino a quando il professor Podger non le aveva menzionate, neppure lei s'era ricordata delle chiavi dei loro armadietti, ove le loro scorte di medicinali, il loro denaro e le due catenine d'oro erano depositati. La ragazza non indossava il suo camice da poco prima del mancato appuntamento con Trent. Era ancora appeso nell'armadio dello spogliatoio femminile. Adriana, inoltre, doveva ancora digerire la notizia che il tenente Rios era stato ucciso da una dose di aspirina spropositata, prelevata chissà come dalla sua scorta e da quella di suo fratello. Per questo erano stati ritenuti colpevoli e sapendo che non sarebbero riusciti a dimostrare in alcun modo la loro estraneità ai fatti, Alberta, pur di salvarli, si era autoaccusata come solo avrebbe fatto una madre o un padre abnegante. La loro tata era una donna intelligente: aveva di certo capito subito che sarebbe stato impossibile reperire prove a loro favore e li aveva salvati da un destino crudele sacrificandosi per loro. Come aiutarla ora? Se lo chiedevano entrambi, ma Nico sembrava aver trovato la risposta in un camice malconcio. 

Il ragazzo si diresse verso il reparto dove era stato ricoverato fino a poco prima. Quando lo avevano aiutato a spogliarsi avevano appeso il suo camice all'unica sedia presente nella stanza. La sedia ora era vuota. Adriana, che aveva seguito il fratello, si stava chiedendo come la persona che aveva somministrato le aspirine allo sfortunato tenente avesse aperto il suo armadietto personale e quello di Nico. Non erano stati scassinati, ma aperti con le loro chiavi. Aveva intuito anche lei, oramai, che Malinka doveva essere la responsabile della morte del paziente, anche se il pensiero di una qualunque partecipazione da parte Trent, fosse anche solo per coprire la vera colpevole, neppure la sfiorava. Ma come avrebbe fatto l'haitiana ad aprire i loro armadietti per fare ricadere la colpa su di loro, liberandosi da ogni responsabilità? Nessuno dei due fratelli si sarebbe mai azzardato a darle in mano la chiave personale e quindi avrebbe solo potuto scassinarli, cosa che non era avvenuta. 

-In lavanderia, devo correre in lavanderia, anche se temo abbiano già lavato via ogni indizio che potrebbe scagionare Alberta e restituirci la rispettabilità. 

-Nico... -

-Ricordi la macchia di caffè sul mio camice quando ci hanno arrestati? Tu quel giorno non stavi indossando il tuo. 

-Lo avevo lasciato nello spogliatoio.

-Vai, controlla se c'è dentro la chiave, anche se temo di no, mentre io corro in lavanderia sperando non sia troppo tardi. 

-Troppo tardi per che cosa?

-Non ho tempo di spiegartelo, fai come ti dico, poi raccogli le tue cose e usciamo di qua alla svelta.




CAP. XV parte seconda

Nico corse via, mentre Adriana camminava verso lo spogliatoio femminile. Ricordò la grande macchia di caffè sul camice del fratello, anche se non capiva quale fosse il nesso con l'accaduto. Nico aveva parlato di indizi e di sicuro si riferiva proprio a quella macchia. Non ebbe però il tempo di formulare un pensiero logico, perché in fondo al corridoio vide Trent. Il giovane non si era accorto della sua presenza, sembrava sovrappensiero. Volle raggiungerlo e spiegargli, anche se oramai non sapeva bene cosa e come. Di sicuro anche l'uomo che amava oramai pensava, tale e quale a Podger, che lei e Nico fossero due insensati salvati da un oscuro destino dall'operatrice socio-sanitaria, per la quale entrambi sentivano un profondo dolore nel cuore.

-Trent, ti devo spiegare... -cominciò, quando gli fu vicino.  

Lui sembrò scuotersi da un torpore. -Sarà meglio che tu e tuo fratello ve ne andiate da qui il più in fretta possibile. Il professor Podger non vi vuole più in questo posto e quando uscirà dal suo studio non vorrà trovarvici.

Trent sembrò avere fretta di andarsene, di allontanarsi da lei.

-Trent, né io né Nico né Alberta siamo responsabili dell'accaduto, devi credermi, qualcun altro ha avuto accesso... - cominciò Adriana a spiegare, ma lui non le diede il tempo di continuare.

-L'accaduto?- disse come scandalizzato. -Come puoi minimizzare il disastro che tu e tuo fratello avete combinato? E' morto un paziente per la vostra leggerezza, ma sembra che non vi rendiate conto della gravità del fatto. Secondo il direttore, Alberta si è inventata quella storia solo per togliervi le castagne dal fuoco. E se ora vuoi scusarmi, ho del lavoro serio da sbrigare. 

Quindi si allontanò, lasciandola in preda all'angoscia e alla disperazione. L'uomo che amava non soltanto non era disposto ad ascoltare la benché minima spiegazione e men che mai a crederle, ma l'aveva trattata come una criminale. Adriana cominciò a pensare che forse Trent non l'aveva mai amata seriamente, ma allora perché soltanto il giorno prima le aveva chiesto un appuntamento romantico? Forse Alberta e suo fratello avevano ragione su di lui? 

Si diresse allo spogliatoio femminile, mentre copiose lacrime cominciarono a scorrerle sul viso senza che riuscisse a fermarle. Nel frattempo Nico era tornato dalla lavanderia e la vide in tale stato. Ed essendosi reso conto della presenza di Trent, che stava già svoltando l'angolo per raggiungere il corridoio in cui si trovava suo studio, montò in collera. Sua sorella poco prima si era mostrata forte davanti a Podger, nonostante le accuse ingiuste a loro mosse e la notizia della detenzione di Alberta ricevuta a bruciapelo. Se ora stava piangendo tanto dolorosamente, la causa di tanta afflizione non poteva essere altri che quel bellimbusto. Non contento del danno che aveva fatto a entrambi e indirettamente anche alla loro amica, di sicuro aveva appena sbattuto in faccia alla ragazza parole intrise di veleno. 


CAP. XV parte terza

Nico era sempre stato un ragazzo saggio e accorto sin dall'infanzia, mai un attaccabrighe. Le sole volte in cui si era trovato coinvolto in situazioni equivoche avevano avuto unicamente il nobile scopo di difendere i più deboli da ingiusti soprusi. Come quella volta in cui all'ultimo anno delle elementari si era battuto con un ragazzo grosso il doppio di lui, il bullo della scuola, che per motivi futili picchiava anche le ragazze. Quel giorno il teppistello non aveva mandato giù l'insufficienza che aveva preso nella ricerca scolastica di scienze, dello stesso argomento di quella di Fanny, la magra ragazzina occhialuta prima della classe. Come al solito la bambina aveva preso il massimo dei voti. Il bullo voleva dargliene un sacco e Nico, pur di difenderla, si era messo in mezzo. Il ragazzino aveva rischiato di farsi male seriamente, non fosse stato per il bidello che si era accorto per tempo di quanto stava succedendo nel cortile della scuola. Nico era tornato a casa con qualche patacca nei pantaloni e nella camicia, ecchimosi e graffi sulle braccia e sul viso, però da eroe. Tata Alberta in quell'occasione non lo aveva rimproverato, anzi lo aveva ammirato per il suo coraggio. Mentre i genitori, i coniugi Mascarenhas, scandalizzati a causa la supposta incuria degli insegnanti e della direzione, avevano denunciato l'istituzione scolastica. Adriana allora avrebbe tanto voluto essere coraggiosa come Nico, ma era la più bassa e minuta della scuola e finiva sempre con l'essere protetta e difesa dal gemello, a causa dei bulli che li prendevano entrambi di mira per la piccola statura. Comunque, al di fuori dell'abnegante difesa dei più deboli dalle ingiustizie, Nico si era sempre guardato dal mettersi nei guai. Se il bersaglio dei più prepotenti era lui anziché un compagno o una compagna o sua sorella, poco o nulla gli importava. Era sempre stato un ragazzo intelligente e lungimirante e non era neppure propenso a scoprire le sue carte in anticipo. E in quell'occasione si era ripromesso di non far capire né a Trent né a Malinka che sapeva quello che avevano fatto. In caso contrario si sarebbero potuti allertare nascondendo con maggiore astuzia il loro operato e cancellato la seppur minima e debole traccia degli illeciti commessi. Ma per la seconda volta nello stesso frangente, avendo visto sua sorella tanto amareggiata, non riuscì a trattenersi. Aspettò giusto il tempo che sua sorella entrasse nello spogliatoio infermieristico, e raggiunto Trent, complice la totale assenza di qualunque collega nei paraggi, lo affrontò. 

-So cos'hai fatto, ignobile farabutto!- lo apostrofò.

-Nico?-. Il supervisore si mostrò sbalordito e indignato. -Sei impazzito?-

-Può darsi che io in questo momento non abbia la migliore presenza di spirito, ma tu sei uno sciagurato, miserabile! Non contento del male fatto a una persona di cui non meriti un solo sguardo, ti permetti ancora di buttare benzina sul fuoco!

-Ritira subito quello che hai detto e non farmi perdere altro tempo. Ho un lavoro da mandare avanti, a differenza di te-. Cercò di allontatnarsi, ma Nico lo afferrò per il camice. -Lascia in pace mia sorella e non rivolgerti mai più a lei se non in maniera educata e rispettosa.

-Lasciare in pace tua sorella?-. Trent accennò a un mezzo sorriso che avrebbe voluto sembrare ironico, ma di fatto gli morì sulle labbra, lasciando il posto a un'espressione che una persona più obiettiva di quanto non fosse Nico in quel momento avrebbe giudicato di crescente malessere. Tuttavia, nel cercare di darsi un contegno, il medico aggiunse: -E' lei che da quando ha messo piede in questo posto non ha fatto altro che corrermi dietro, dovresti saperlo, visto che sei suo fratello.

-Sei un infame!-. Nico prese a strattonarlo in preda alla collera, incurante del fatto che Trent fosse alto il doppio di lui e decisamente molto più forte. Voleva proteggere la sorella a tutti i costi, fare qualcosa per tenere quell'uomo lontano da lei. Contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, Trent non intendeva affatto reagire picchiando Nico. Nè quest'ultimo desiderava certamente una rissa, l'infermiere esigeva più che altro che il medico promettesse di tenersi il più lontano possibile da sua sorella e di portarle rispetto, anche se in futuro era improbabile che si sarebbero rivisti. La situazione si era comunque fatta incresciosa e non certo degna di rispettabili professionisti. Trent cominciò a spintonare il ragazzo svogliatamente, con l'unico scopo di  liberarsi dalla presa. 

Quando Adriana tornò dallo spogliatoio rimase sbalordita innanzi allo spettacolo che le si stava presentando davanti. 

-Smettetela! Basta! Sembrate due ragazzini delle elementari-. Prese suo fratello per un braccio per tentare di trascinarlo via. Trent, libero dalla presa, si allontanò dai due e corse via. 

CAP. XV parte quarta

Subito dopo arrivò Robert, che da qualche tempo li aveva cercati.

-Ragazzi, svelti, uscite con me in cortile, presto, prima che Podger esca dal suo studio e vi trovi ancora qui.

Adriana e Nico lo seguirono. Una volta in cortile, l'amico cominciò a dar loro istruzioni.    

-Ascoltate, ora non c'è tempo per spiegarvi nulla perché devo iniziare il mio turno, ma aspettate qui Héctor, che ora è libero. Vi accompagnerà alla locanda in centro. Prendete una stanza, affittatela per un mese, una sola per entrambi e attendetemi là. E se dovessi ritardare a causa di qualche emergenza, ben prima dell'ora di cena ordinate qualcosa da mangiare e portatevela in camera. Fino al mattino successivo non uscite dalla vostra stanza per nessun motivo. Tenetela sempre chiusa a chiave e dopo le diciotto, se dovete proprio parlare, fatelo unicamente a bassa voce. Per il resto dovrete limitare al massimo di fare rumore. Anzi, è pure meglio se ceniate prestissimo e andiate a nanna poco dopo. Il pranzo invece potete tranquillamente consumarlo nella sala comune, così come la colazione, ma soltanto dopo le sei del mattino. Appena sarò libero verrò subito da voi.

-Robert, di che stai parlando? Una camera in una locanda per un mese? Perché mai? Ma che posto è, che dovremmo nasconderci a tal maniera? Noi dobbiamo vedere subito Alberta, non andremo da nessuna parte senza sue notizie- protestò Adriana.

-Ascoltatemi, non fate sciocchezze! 

-Tornerò al comando a chiedere...

-Sei pazza?- l'interruppe Nico bruscamente. -Non ti rendi conto di quello che ti faranno se torni in quel posto? Se ci troverai quell'agente, tale Laurentino Suárez,, stavolta non te la caverai di certo! A farmi dire dove si trova esattamente Alberta ci vado io invece, mentre tu te ne starai dove Robert ci sta indicando.

-Nico, quei poliziotti ti hanno picchiato, potrebbero ammazzarti stavolta, lascia che...

-Per piacere, vi prego- ricominciò Robert, cercando di fare ragionare i suoi amici. -Fate come vi dico se volete rivedere Alberta libera. Conosco qualcuno che può tirarla fuori dai guai, ma dovete fidarvi di me, senza litigare né tantomeno comportarvi in maniera temeraria e avventata. Lo avrete capito anche voi che questa città non è certo il paradiso dell'onestà. Ma vi servirà un posto dove stare per un po' e l'unico è la locanda di Habanita. E ora se non vado a lavorare rischio un ammonimento che potrebbe costarci il nostro incontro. Aspettate qui Héctor, che conosce bene questa città-. Ciò detto, l'infermiere corse via.

Poco dopo il guardiano notturno li raggiunse, ma non prima che ebbero ascoltato parole velatamente beffarde da parte del magazziniere, che era uscito dal seminterrato dopo che Robert li aveva lasciati. Forse anche lui li credeva colpevoli. Adriana e Nico lo ignorarono e si allontanarono velocemente con Héctor.

-Non fateci caso- mormorò quest'ultimo. -Franco è uno sciocco. Si era iscritto per ottenere un incarico all'Arcoiris perché in Ecuador non aveva più un tetto sulla testa, dopo essersi indebitato fino al collo per il gioco del bingo e ora crede di avere raggiunto le più alte vette. Tutti conosciamo questa storia.

-Non ha importanza- rispose Adriana. -Héctor, potresti farci un piccolo favore? Puoi indicarci una cabina telefonica per la strada? Dobbiamo chiamare i nostri genitori in Portogallo. Come sai, al di fuori dell'area del Centro non funziona alcuna linea telefonica di nessun cellulare.

-Aspetta, aspetta, che intenzioni hai?- si allarmò Nico.

-Per il bene di Alberta, ci serve il loro aiuto. 

Il fratello si spazientì. -Sai benissimo che invece di elargire un aiuto concreto, non appena al corrente di questa storia vorranno obbligarci a tonare a casa infischiandosene altamente di Alberta. Sembra proprio che tu non li conosca affatto. Lo sai come sono i nostri genitori, al posto del cuore hanno una carta di credito.

CAP. XV parte quinta

-Nico, non abbiamo altra scelta. Ci servono abbastanza denari per poter pagare il migliore avvocato del paese e loro li hanno. 

-Noi abbiamo due copie delle carte di credito.

-Nico, il nostro conto è in comune con i nostri genitori e sono soldi loro! E' giusto che sappiano da noi come li spendiamo, anziché dall'estratto conto.

-Non tutti sono soldi loro, noi abbiamo avuto un lavoro ben pagato prima di venire qui. E l'estratto conto arriva a distanza di un mese.

-E credi che basti quello che abbiamo guadagnato noi in pochi mesi? 

-Faremo economie. La moneta di questo paese è svalutata, ce la faremo. E poi loro sanno a che stile di vita siamo abituati, penseranno che ci stiamo togliendo degli sfizi. 

-Nico, non possiamo tenere i nostri genitori all'oscuro di tutto. Cosa penseranno, quando sapranno dall'estratto conto che dormiamo in una locanda, anziché al Centro dove suppostamente lavoriamo come volontari? Per non parlare dell'onorario di un avvocato? Penseranno senza ombra di dubbio che siamo nei guai con la legge. Mamma è laureata in scienze politiche e conosce le condizioni sociali di questo paese. I nostri genitori la storia degli sfizi non se la berranno, dovresti immaginartelo.

-Dobbiamo correre questo rischio, non abbiamo altra scelta. Anzi, possiamo fare di meglio-. Allora, rivolgendosi al guardiano notturno: -Héctor, per favore, puoi portarci in una banca prima di passare alla locanda? Meglio effettuare un prelievo in uno sportello automatico e pagare in contanti. 

-Banca? Sportello automatico?- rispose Héctor ridendo. Ragazzi miei, avete scambiato La Floresta per il Paese di Cuccagna? Ad Habanita non esistono banche. Solo nella capitale. Per non parlare del fatto che in questo posto per due borghesi come voi è estremamente pericoloso girare coi contanti. Verreste rapinati alla svelta. Si vede lontano un miglio che non siete cittadini di La Floresta e provenite da un ambiente altolocato.

-Lo vedi?- si disperò sua sorella.

-Ok, saremo costretti a usare le carte, ma se il contatto di Robert riesce a risolvere questa questione in un mese, non avremo di che preoccuparci. 

-E se ci vorrà di più?

-Come ho detto, dobbiamo correre il rischio. E poi credi davvero che i nostri genitori sborserebbero volentieri per una persona che considerano una semplice domestica?- sbottò il ragazzo. -Quanto sei ingenua! Ci creeresti un monte di problemi con una sola telefonata. Ci costringerebbero a tornare subito a casa, lascia stare.

-Nico, ci dobbiamo provare- insistette sua sorella.

Héctor intervenne. -Ragazzi, voglio darvi un consiglio da amico. Fate soltanto quello che vi ha detto Robert. Per ora nessun'altra iniziativa. Di un avvocato non ci sarà bisogno, per cui non fasciatevi la testa per l'estratto conto delle vostre carte. Credetemi, alla vostra amica non servirà a nulla neppure il miglior legale del pianeta. Sono latinoamericano e in paesi come questo qui, in cui la corruzione è alla massima potenza, servono ben altri mezzi. Abbiamo ha il contatto giusto che farà al caso vostro. Potrà farcela abbastanza velocemente a dipanare la matassa.

Adriana non volle ascoltare né lui né Nico.

-D'accordo Héctor, ma per noi quel contatto è un perfetto sconosciuto. Preferisco parlare prima con la mia famiglia.

-Visto che proprio insisti- sospirò suo fratello, -lascia allora a me il compito di telefonare. 

Nico sperava che la sua versione dei fatti, unita a un atteggiamento diverso da quello di sua sorella, avrebbe contenuto i danni. Adriana non si sarebbe data pace fino a quando non avessero fatto quella telefonata, la conosceva fin troppo bene. Riconosceva che per certi versi sua sorella aveva ragione e a vicenda conclusa sarebbero stati costretti a dare penose spiegazioni alla loro famiglia, che avrebbe reagito negativamente. Ma in quel frangente, almeno per il momento, si rendeva conto della necessità di tacere, correre rischi e sperare che non venissero scoperti finchè Alberta non fosse stata rimessa in libertà.

-A volte sei sommamente testarda. Spero proprio che questo tuo atteggiamento non ci procuri ulteriori guai.