Enrico Tavernini

Odio online, da che parte sta Facebook? Il social network combatte i razzisti ma guadagna con i loro post

2019-10-03 16:00:53

(articolo di https://www.cam.tv/tizianosantoro/info)

“Non c’è spazio sulla nostra piattaforma per chi diffonde odio e violenza”. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo Facebook ha ricavato 1,6 milioni di dollari tramite post sponsorizzati di gruppi che diffondono odio sul social network.



Due frasi, e fatti, in contrapposizione tra loro che fanno riflettere e sollevano il dubbio: Facebook da che parte sta?


E poco conta, diciamolo subito, che la cifra in questione sia infinitesimale rispetto alle entrate del social-azienda di Mark Zuckerberg, perché la questione non è economica bensì etica e sociale, poiché Facebook è la piazza virtuale su cui gravitano, si informano e si confrontano oltre due miliardi di persone.


A innescare la polemica è stata l’indagine di Sludge, testata di giornalismo investigativo statunitense che, passando in rassegna le organizzazioni razziste e portatrici d’odio individuate dal Southern PovertyLow Center (organizzazione americana senza fini di lucro impegnata nella tutela dei diritti delle persone) ha evidenziato gli introiti ottenuti dalla piattaforma da maggio 2018 allo scorso 17 settembre, grazie ai 4.921 post condivisi sulle bacheche degli iscritti a Facebook. In particolare, le principali comunità analizzate sono quelle che si oppongono a immigrati, musulmani LGBT. Nel corso dei diciassette mesi presi in esame, i gruppi anti-immigrati anno investito nel social quasi 960.000 dollari per propagandare “l’invasione” degli stranieri, le organizzazioni avverse alla comunità LGBT hanno speso 542.000 dollari per sostenere i pericoli di persone considerate “malvagie”, mentre i messaggi anti-Islam hanno portato nelle casse di Facebook circa 70.000 dollari.

L’accusa più netta per il social network arriva da Keegan Hankes, direttore delle ricerche di SPLC, che descrive l’atteggiamento ambiguo di Facebook verso questi temi: “Agisce contro queste ideologie quando è politicamente conveniente, senza però criticare il conservatorismo, che si fonda proprio su tali ideologie”. La reazione della piattaforma si è limitata alla consueta nota buona per ogni occasione: “Studiamo costantemente le tendenze dell’odio organizzato e lavoriamo con i partner per capire meglio le sue evoluzioni”, ha dichiarato il portavoce interpellato da Sludge, prima di aggiungere che “l’obiettivo è intraprendere azioni contro qualsiasi post o pubblicità che viola le norme della piattaforma”.

Premesso che è troppo facile scagliare la croce addosso al social per un lavoro immane che richiede grandi sforzi e continui aggiornamenti, va ricordato che Facebook sta investendo risorse per affinare soluzioni diverse al fine di incrementare l’efficacia contro gli spacciatori d’odio e violenza online: oltre ai moderatori che monitorano post e profili, ci sono machine learning e partnership con esperti di settore.

In Italia i provvedimenti più recenti hanno riguardato la cancellazione delle pagine Facebook e Instagram di CasaPound e Forza Nuova (e dei profili dei relativi responsabili nazionali e locali), per istigazione all’odio. Due settimane fa, poi, anche per rispondere alla deriva di criminali che hanno utilizzato il social network per diffondere in diretta streaming i propri folli gesti, Facebook ha annunciato la nuova policy su odio e terrorismo (che vale pure per Instagram) con la voce Persone e Organizzazione Pericolose che ora include anche il traffico di essere umani, la violenza organizzata, l’attività criminale e l’omicidio di massa o seriale.

L’escalation dell’odio online va oltre Facebook e conta su diverse variabili, non ultima la presenza di figure appartenenti a gruppi anti-immigrazione nel governo Trump. Un esempio è Julie Kirchner, parte del Dipartimento della sicurezza nazionale ed ex direttore esecutivo della FAIR (dal 2007 al 2015), organizzazione che punta a ridurre il numero di immigrati negli Usa, considerata dal SPLC come un gruppo di odio collegato ai suprematisti bianchi. La minaccia d’odio non può, quindi, esser sottovalutata ma anzi deve essere una delle priorità da combattere anche e soprattutto per Facebook, perché diverse analisi hanno dimostrato come il passaggio da un post alla violenza fisica è talvolta assai breve, andando quindi ben oltre la propaganda che, proprio grazie a messaggi sponsorizzati, può persuadere persone sensibili a specifici temi.