Emanuela Spernazzati

Founder Senior

Quando la perfezione ti fa male, prova a superarla così

2019-10-16 08:24:46

“Meglio fatto o perfetto?” Cominciavano così i colloqui di selezione di un grande manager con cui ho avuto il piacere di lavorare per alcuni anni. Una domanda difficile specialmente per chi, come me, non ama errori e imperfezioni. Eppure il senso c’è.

Tutti vorremmo consegnare sempre compiti impeccabili, ma è importante che questo ammirabile perfezionismo non si trasformi in un muro che ci blocca o in un alibi che ci impedisce di fare per paura di concretizzare l’errore. 


L’errore è un gradino nel processo di apprendimento: cosa succederebbe se ogni neonato si bloccasse perché ha sbagliato a bilanciare il peso nello sforzo di alzarsi ed è caduto goffamente a terra? Forse gattoneremmo ancora tutti. ;-)


Ma torniamo a quella vocina che dentro di noi ci ripete: “Sii Perfetto”! Quella che ci aiuta a migliorare se è bilanciata da un’adeguata capacità di accogliere il rischio, accettare un’imperfezione, rialzarci dopo un fallimento e credere ancora in noi. Perché sbagliando impariamo e guadagniamo la nostra meta un gradino alla volta. E se conserviamo anche il sorriso la fatica si attenua.


Ecco, quindi: hai mai rinunciato a un lavoro sfidante per paura di non essere in grado per poi scoprire, troppo tardi, che lo saresti stato? Hai mai protratto una selezione per secoli per paura di scegliere il candidato sbagliato? Hai mai riletto il tuo progetto così tante volte da sfinirti inutilmente o, peggio, da consegnarlo in ritardo?


Se hai risposto sì a una o più di queste domande probabilmente la spinta alla perfezione che è in te, la tua scintilla divina, rischia di diventare una gabbia che ti toglie spontaneità, gioia e sicurezza. Almeno così ti direbbe Eric Berne, ideatore dell’Analisi Transazionale, che ha individuato le cinque spinte (tra cui 'Sii perfetto') che possono aiutarti ad eccellere o, se prendono il sopravvento, bloccarti. E uccidere la motivazione.

In “Harry ti presento Sally” la splendida Meg Ryan, maniacalmente perfezionista, viene definita ‘raddrizzatrice di quadri', ed io mi ci rivedo quando devo assolutamente terminare prima di andare a letto l’articolo che ho iniziato, anche se sono le tre e non lo devo pubblicare domani. O quando devo riordinare la cucina altrimenti non riesco ad addormentarmi soddisfatta.


Ma cosa c’è di male ad essere perfezionisti?


Nulla, anzi! A patto che questo non uccida la serenità, la gioia, il senso di gratitudine per ciò che hai e ciò che sei e la voglia di celebrare i tuoi passi avanti anche quando non sono successi conclamati e totali. 

A patto  che tu, ad esempio, non sia un imprenditore che non innova perché ha paura degli errori, o un professionista che non si gode la vita perché lavora diciotto ore al giorno per cercare di controllare e prevedere ciò che solo la vita può determinare o una persona dotata e capace che non si sa mai dire ‘bravo/a’ e mina la sua autostima alla base, dall’interno.


La vita è troppo breve per aspettare di godersela quando saremo perfetti. E poi perfetti per chi e secondo quali canoni? Che la vita è troppo breve anche per rincorrere l’ideale di perfezione di qualcun altro. 

Il mio ideale di perfezione e di successo ad esempio è sempre stato avere una famiglia felice e un lavoro che mi permettesse di parlare con le persone e di aiutarle in qualche modo. I miei genitori invece mi avrebbero voluta professoressa, con un posto fisso e il pomeriggio libero.

Come mi sarebbe piaciuto sentirmi dire che vado bene così, con clienti ovunque e amici anche, senza uno stipendio garantito da un datore di lavoro ma con tutto ciò che mi serve e in più un bel sorriso stampato sul viso.


Ah, dimenticavo che per tutto c’è una cura, e come ho già scritto in altri articoli, allentare una spinta un po’ troppo tiranna è relativamente semplice: basta guardarsi dentro, capire che il passato è lontano e il presente è nostra responsabilità, accettarsi, perdonarsi le imperfezioni e darsi il permesso di piacersi anche così, umani, perfettibili e pieni di infinite possibilità.


Ti pare difficile?


Allora ecco il solito trucco. Io faccio così: quando mi accorgo che il mio giudice interiore è troppo severo mi fermo e mi chiedo “Cosa diresti a tua figlia di undici anni se avesse fatto la stessa cosa?” E magicamente il tiranno diventa un genitore giusto ma amorevole, che ama incondizionatamente vedendo meriti ed errori. Un genitore che dirige ma anche 'supporta e sopporta', come dico sempre.


Per me funziona, se vuoi prova anche tu: vedrai quanta forza scaturisce da un permesso ben dato!