Diego Ferin

Founder President

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Bici, sabbia, biglie da spiaggia e … Felice Gimondi

2019-08-18 17:02:45

Un ricordo del grande campione legato al felice periodo della mia infanzia e adolescenza

Ieri tutti i media e i notiziari hanno dato ampio risalta alla triste e improvvisa scomparsa di Felice Gimondi, a causa di un malore mentre era al mare a Giardini Naxos, in Sicilia.


Stavolta perdo io: perdo prima di tutto un amico e poi l'avversario di una vita" così ha commentato Eddy Merckx , il fuoriclasse belga che fu il più grande avversario di Gimondi e di cui poi divenne grande amico quando erano entrambi a fine carriera.

 Ivan Basso invece ricorda il suo primo incontro: “Gimondi era venuto alla mia prima gara di ciclocross: caddi e mi ruppi un dente. Venne da me alla fine e mi disse: l’importante è che non ti sei fatto male alle gambe. Era un uomo che aveva una parola buona per tutti. Perdiamo un monumento“.

Anche Vincenzo Nibali, che si stava allenando proprio nella sua Sicilia, appresa la notizia, ha detto: “La morte di Gimondi è una grande perdita. …Ha avuto sempre grandi parole per me, è stato un grande personaggio, un grande uomo. Aver vinto quello che ha vinto, nell’era di Merckx… Ci mancherà. Ricorderò la sua saggezza”


Le leggendarie imprese del “campionissimo” Fausto Coppi e del suo rivale Gino Bartali – medaglia d’oro al merito e “Giusto tra le nazioni”, campione non solo sulla bici ma soprattutto come uomo – io e quelli della mia generazione le abbiamo conosciute solo a posteriori attraverso i racconti dei nostri padri, zii o nonni oppure in seguito già adulti seguendo qualche documentario o fiction televisiva. 


Invece per noi che abbiamo vissuto la nostra infanzia e inizio adolescenza a cavallo tra gli anni 60 e i primi anni 70, Gimondi , insieme ad altri campioni come gli italiani Adorni, per diversi anni suo compagno di squadra nella Salvarani, Motta, Zilioli, Battaglin, o stranieri come il già citato Merckx, Poulidor, Anquetil , Maertens sono stati i primi “eroi” della bici di cui ricordiamo direttamente le gesta, le imprese nelle corse a tappe come giro d’Italia o tour de France o nelle classiche come la Milano-Sanrremo, che mi capitò un anno di vedere dal vivo all’arrivo.


Ogni generazione sportiva ha i suoi campioni, e come nel ciclismo noi italiani abbiamo in seguito ammirato le gesta e la rivalità di Francesco Moser e Beppe Saronni, seguito le vittore di Ivan Basso e Gianni Bugno, fino ad arrivare alla fine del secolo scorso e all’alba del nuovo millennio ad entusiasmarci alle imprese del “pirata” Marco Pantani, forse ultimo eroe “antico” di un ciclismo già tecnologico e moderno, meteora spentasi tragicamente in quella maledetta camera d’albergo di Rimini, con uno stop forzato alla sua carriera ed una morte che ancora oggi lasciano molti dubbi e molte poche certezze; fino ad arrivare alle imprese in quest’ultimo decennio di Vincenzo Nibali, le sue vittorie al giro e quella al tour nel 2014, quando vidi le 2 ultime tappe e l’arrivo trionfale a Parigi in tv insieme a mio padre nella sua ultima estate da vivo.


Però personalmente il ricordo di Felice Gimondi è legato alla mia infanzia, a quando le vacanze estive non erano i 15-20 giorni di ferie dei genitori  passati magari ogni anno in qualche posto diverso, ma era la “villeggiatura” che durava anche 2 o 3 mesi dei quali la maggior parte trascorsa con i nonni materni o paterni nei luoghi d’origine delle nostre mamme e/o papà.


Nel mio caso solitamente trascorrevo un 15-20 giorni al mare a Sanremo dove risiedeva mia nonna, per poi trasferirci entrambi in montagna a Viola, nel paese delle Prealpi cuneesi nativo dei miei nonni materni e di mia madre. Ed è lì che ho imparato ad andare in bici, iniziando da piccolino con un triciclo – scassato irreparabilmente dopo una discesa finita contro il muro della chiesa – per poi passare a diverse bici, di cui una ebbe una sorte anche peggiore del suddetto triciclo.


Ed era lì che, gareggiando con gli amici d’infanzia Carlo, Pier Paolo, Marco, Flavio, Stefano, Umberto - che essendo quello di famiglia più benestante, fu l’unico di noi che aveva un modello di vera bici da corsa - , facendo a gara a chi arrivava primo in cima alla piazza, o al più lungo “giro della Costa” (frazione del paese), era lì che le nostre sfide si trasformavano, nella nostra fantasia di bambini, nelle epiche gesta dei vari Merckx, Gimondi, Adorni, Motta, Anquetil etc.
 

Ma soprattutto, in un’epoca in cui non c’erano personal computer, né tantomeno smartphone, tablet o internet , ed i primi video-games erano ancora lontani da venire, c’era un gioco che qualunque uomo che abbia superato i 50 anni non può non ricordare: quello delle famose biglie di plastica formate da 2 semisfere a incastro, una colorata ed una trasparente, e dove nel cerchio interno veniva posta una piccola foto con tanto di nome di un campione di ciclismo.


Ed il gioco che si poteva praticare ovunque ci fosse un consistente cumulo di sabbia , quindi se si era in una località balneare con la spiaggia sabbiosa era l’optimum, era quello di inizialmente prendere il più “cicciottello” del gruppo che, seduto sulla sabbia e trascinato per i piedi da altri 2 volenterosi (a volte con parecchia fatica) , con le forme generose del suo fondo schiena creava sulla sabbia un vero e proprio circuito, con tanto di curve paraboliche, chicane e rettilinei; si poteva poi ricorrere ad altri espedienti come quello di bagnare leggermente la sabbia per rendere il terreno di gara più compatto e veloce, oppure creare modellando la sabbia, salti, fossati ed ostacoli vari per rendere la competizione ancora più difficile e avvincente.


E poi il gioco consisteva nel tirare a turno la propria biglia col colpo detto della “biccellata”: facendo un anello con indice e pollice, con l’indice che scattava a mo’ di grilletto per colpire la biglia cercando di mandarla il più avanti possibile rimanendo però all'interno del tracciato, perché se usciva fuori si saltava il turno successivo.

E anche quando ero in vacanza a Viola, paese ovviamente privo di spiagge, essendo quegli anni gli albori del boom edilizio che riempì quasi ogni luogo di villeggiatura di condomini e di seconde case, nel paese c’era sempre, soprattutto d’estate per evidenti ragioni climatiche, qualche cantiere aperto per costruzione, ristrutturazione o riparazione di strade : e ogni cantiere aveva il suo bel mucchio di sabbia scaricata sul terreno ! 


E allora, dopo aver individuato la “location” come si direbbe oggi, si procedeva alla realizzazione della pista e poi via con la gara: mi ricordo che se potevo cercavo di avere sempre la biglia di Gimondi, il mio ciclista preferito allora, mentre il mio amico di una vita Carlo aveva in Adorni il suo idolo.

Di Gimondi, oltre alle incredibili imprese sportive, mi piacevano molto il suo modo elegante e la sua pacata saggezza , il suo volto e la sua espressione in perfetta attinenza con il nome che portava, le sue dichiarazioni mai sopra le righe, anche quando terminata la carriera di atleta si dedicò a quella di direttore sportivo prima della “Mercatone Uno” (squadra di Pantani) e poi responsabile dell’attività sportiva per la Bianchi, storica casa di bicilette milanese.


 E anche se mi influenzava molto il fatto che fosse un atleta italiano, l’ho sempre preferito al “cannibale” pigliatutto Eddy Merckx, che al di là delle sue note vicende e squalifiche legate al doping, aveva quasi sempre quell’espressione da “Bobby Solo imbronciato” anche quando vinceva una gara o una tappa.


Oggi, superati ormai i 60 anni e con un tenore di vita alquanto sedentario, le mie pedalate si riducono a qualche sporadica sessione casalinga sulla cyclette, o a qualche giretto senza troppe pretese con la mountain bike (per la verità anche questa “appesa al chiodo” da un po’ di tempo, ma spero in ottica ottimistica e salutista di poter riprenderla quanto prima).


E ieri la notizia della scomparsa improvvisa del campione “mio eroe sportivo” di quando ero bambino e poi ragazzo, mi ha fatto enorme tristezza, ed anche provare una certa nostalgia per quel periodo ormai lontano, quando privi di ogni “modernità” e gadget tecnologici, delle centinaia di canali televisivi o media che “vomitano” news e informazioni a profusione, abbiamo vissuto un’infanzia ed una giovinezza forse più ingenua, immatura e scanzonata, ma probabilmente più felice e spensierata e meno stressata dei giovani attuali.
 

E allora, caro Felix de Mondi, come ti soprannominò il grande Gianni Brera, spero che tu stia pedalando su una strada di nuvole insieme ai grandi campioni del passato, Coppi, Bartali, al tuo allievo Marco Pantani, e certo che la tua nuvola si distinguerà sempre dagli altri, rispettando un altro appellativo che creò per te sempre Gianni Brera :
 ciao, “Nuvola Rossa”