Delia Di Pasquale

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Alcolismo, un problema attuale

2019-10-14 11:33:03

L’alcol nella nostra tradizione culturale antica era visto come un amico del nostro organismo, serviva per festeggiare la morte di un tiranno, per riscaldarsi d’inverno e per dissetarsi d’estate.

Il poeta greco Alceo scriveva “Beviamo… Dura un dito il giorno… porta le grandi coppe… perché il figlio di Zeus e Semele ai mortali diede il vino oblio degli affanni”. Il poeta latino Orazio in un’ode affermava: “Ora bisogna bere, ora bisogna battere la terra con passo libero”. “Il vino fa buon sangue” o “in vino veritas” sono alcuni dei proverbi che esaltano la qualità dell’alcol e ci dimostrano quanta stima abbia nella nostra cultura. Ma da amico del nostro corpo può diventare dannoso se assunto in dosi elevate. E, infatti, accanto ai proverbi citati ce ne sono altri che confermano il danno che il bere eccessivamente provoca: “Bacco, tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere” e altri simili. Ancora oggi sono molti quelli che cercano nell’alcol la soluzione ai problemi della vita. L’elevato consumo di alcol tra i giovani e gli adolescenti è quindi un segno di malessere da interpretare, che mette in rilievo aspetti contraddittori della nostra società. Le morti del sabato sera di tanti giovani che sono alla guida di auto, di solito all’uscita da discoteche e locali vari, ne sono la conseguenza più evidente. Chi si mette al volante ubriaco mette a rischio non solo la propria vita, ma anche quella degli altri. I dati Istat recenti ci fanno conoscere l’età in cui i ragazzi cominciano a bere. Già all’età di undici – dodici anni i giovanissimi bevono in qualunque momento della giornata: durante le feste, i compleanni, le serate in discoteche, presso i pub, happy hour… perché lo fanno? Perché bere, disinibisce, dà una sensazione di euforia, aiuta a socializzare. Sono molte le cause che sembrano possano condurre all’abuso di alcol. L’impulsività, la mancanza di autostima, l’ansia, il bisogno di essere approvati, portano a bere in modo smisurato. Alcuni lo fanno per poter gestire le emozioni dolorose, altri per “curare” momenti di depressione e di noia. L’alcol diventa per molti l’unico mezzo per non provare disagio, ma chi ha problemi di alcolismo non danneggia solo se stesso. Gli effetti si riversano nella famiglia o sulle persone che gli stanno accanto. L’abitudine a bere accentua o scatena, a volte, atteggiamenti aggressivi, impulsivi e violenti. Spesso c’è un legame tra il fenomeno del bullismo e quello dell’alcolismo. E spesso molte liti che si scatenano dentro e fuori i locali notturni sfociando in comportamenti violenti, sono dovute proprio a un eccesso di alcol nel sangue. L’alcol riduce la prontezza nei riflessi, annebbia la vista, provoca colpi di sonno. Le rivelazioni Istat ci riferiscono che il 50% degli incidenti stradali mortali è causato da alcol, oltre che da assunzioni di stupefacenti. Questi dati sono sufficienti a dimostrare che l’alcol fa male, che non è simbolo di forza e vitalità, che è una droga e quindi deve essere combattuta. Bere in modo eccessivo crea dipendenza, distrugge il sistema nervoso, provoca effetti immediati e cronici su organi come il fegato, i reni e l’apparato circolatorio. Per limitare l’abuso di alcol il Ministero della Salute ha avviato una campagna per sensibilizzare i giovani ai danni dovuti all’abuso di alcol. 

“Ragazzi vediamoci chiaro,… con l’alcol non si scherza” è la locandina che mostra una ragazza dal volto deformato che simula la percezione visiva limitata e alterata per colpa dell’alcol. Ma a mio avviso, lo stato, se vuole arginare il problema, non solo dovrebbe proibire la vendita di più di una dose ai giovani, ma dovrebbe eliminare anche pubblicità come “No Martini, non party” che tanto effetto fa non solo sui giovani, dovrebbe anticipare la chiusura dei locali pubblici e discoteche e soprattutto incrementare le campagne d’informazione e prevenzione fin dalle scuole elementari. C’è anche chi osserva però che campagne educazionali e spot in televisione non hanno incisività e ritiene che bisogna intervenire partendo dalla famiglia. I genitori, cioè, devono recuperare severità e autorevolezza, pretendendo dai figli dialogo e risposte, e seguendoli nel loro percorso di crescita. 


Delia Di Pasquale