Daniele Ventola

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Plovdiv capitale della cultura 2019

2019-02-25 19:00:38

Plovdiv, capitale della cultura con la nostra Matera, a buon diritto riconosciuta dall'Unesco come patrimonio dell'umanita', durante il corso della storia ha avuto numerosi nomi.

Eumolpias, abitata gia' cinquemila anni prima dell'Era Volgare dalle tribu tracie, ne era la capitale. Era conosciuta anche come "la citta' dalle sette colline" delle quali, un centinaio di anni fa, una di queste fu demolita per ampliarne il perimetro.

Nel IV secolo a.C. i primi riferimenti storici quando, nel 342 a.C., fu conquistata da Filippo il Macedone padre dell'Alessandro il Conquistatore, divenendo Filippopoli.
Nel 46 a.c. Filippopoli venne conqistata invece dai romani che cambiarono il suo nome in Trimontum per le sue tre principali colline che si trovano in centro citta'.
I romani resero la citta' un canale che collegava le vie commerciale dell'impero nella regione balcanica e costruirono lo stadio, le terme, l'anfiteatro che venne parzialmente distrutto dagli unni per essere riscoperto solo neglli '70 quando un signore, volendo ristrutturare casa, trovo' nel suo basamento la prima superfice di marmo.

Quando intorno al 400 le tribu' slave si si stabilirono nell'area di Plovdiv, essa divenne parte dello neo-stato Bulgaro fino alla conquista dei bizantini nel X sec.
Sotto l'Impero Romano d'Oriente, l'impero Bizantino, nel 1204 divenne capitale del ducato di Filippopolis per poi essere palleggiata da dominio a dominio.

Sotto i Turchi la citta' si chiamava Filibe', ma dato il viavai della viandanza di popolazioni le sua demografia e' mista e ancora oggi sono visibili volti di bulgari, greci, turchi, ebrei, armeni.


E forse e' proprio per questo che ancora oggi Plovdiv e' una perla di Bulgaria. Un evocativo incrocio di stili, colori, profumi...

Camminando per le strade e vedendone pietre e' impossibile non domadnarsi di che colore sia stata la pelle di quella mano che pose quella o quell'altra pietra :un romano? Un turco? Un greco, o, chissa', magari un tracio.
Colonne greche, teatri romani, minareti turchi, cucina armena e poi, d'improvviso camminando, sento poco piu' avanti un vociferare molto famigliare.

Trovo le "zie" le otto ragazze salernitane in piena fuga da week-end e che diventano mie compagne di viaggio per mezza giornata.

E poi di nuovo immergermi in strade solitarie, muri colorati, gatti selvaggi e turisti di tanto in tanto, eppure e' come se per un attimo ci si lasciasse trasportare in un tempo lontano, fermo e silenzioso. Qualche gitano che chiede l'elemosina, si' certo qualche turisti di tanto intanto, ma acutizzando la vista i tempi moderni scompaioni e si sale e scende avanti e dietro nel ritmo dei secoli.
Un altro ritmo e' qualcosa che qui a Plovdiv i bulgari sentono particolarmente: questa rottura del tempo ordinario. E' come se tutto andasse piu' lento, un ritmo maggiormente sensibile al passo umano ed e' forse qualcosa che si riflette in una parola che Kristina (il mio Virgilio di Plovdiv) ha cercato di spiegarmi.

"Ailyak" , un retaggio della cultura turca che e' quasi intraducibile in italiano. Ailyak e' come dire "stare senza pensieri", sospeso e rilassato, non si tratta di ozio, e neanche di riposo, e' piu' uno stato mentale sospeso e distante dalle velocita' della metrpoli e dei tempi moderni.

Plovdiv mi ha accolto con George, Sean, Kristina, ma soprattutto con l'immancabile prof. Ricardo la sorpresa spagnola che mi ha ospitato in questi giorni e' ormai diventato anche lui un compagno di viaggio.

Ma ora e' tempo di lasciarli tutti quanti, riprendere il cammino in direzione di Adrianopoli e poi Costantinopoli... pardon, Edirne e Istanbul.

Arrivederci colori di Plovdiv, arrivederci nuovi amici, il freddo torna a chiamarmi e le porte d'Oriente non sono poi tanto lontane.

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