Daniele Ventola

Founder Starter

#day224 - Istanbul

2019-04-15 21:20:27

Istanbul... Gli odori, il caos, la velocita' ma nel contempo il suo stato di sospensione. Mi ricorda molto Napoli...

Istanbul... Gli odori, il caos, la velocita' ma nel contempo il suo stato di sospensione. Mi ricorda molto Napoli...

Al primo ostello mi ha introdotto un personaggio inaspettato. L'amico Stefano Cipollone partito dalla sua Ortona questo inverno, ha finalmente ripreso il suo Viaggio in Utopia per conoscere la Turchia dopo aver attraversato follemente l'inverno dei Balcani ghiacciati e delle valli innevate.  Dopo aver sprigionato italianita' in terra ottomana, le nostre strade si sono separate.

Stefano e' ripartito verso la Cappadoccia (che il dio dei viaggiatori vegli sulle tue ruote!) mentre io mi sono diretto verso nord Istanbul per conoscere una realta' suggeritami da una cara amica di Napoli. Cosi', lasciando i quartieri turistici, mi sono intrufolato come un'ospite ingombrante tra i mercati di quartieri sconosciuti dove i turisti stentano ad arrivare. Venditori ambulanti urlanti, bambini che rubano caramelle, donne che contrattatano merci esposte, pesci, frutta, chincaglierie di ogni genere e poi profumi e colori particolari. Una festa.

Finalmente sono arrivato alla mia meta.

Nel cuore del quartiere di Fathi, all'improvviso un bar molto particolare.

<<Se ascolti e vedi sei responsabile>>

E' il motto del bar "Ali Denizci Deliler Kahvehanesi". Dal soffitto pendono oggetti di ogni genere, sono flauti, tamburi, acchiappa-sogni; sono speranze e sono colori. Le persone che vi lavorano non vi si trovano per lucro, ma per servire.

Il Deliler Kahvehanesi, oltre ad essere un bar ha al suo interno una piccola porta dietro i tavoloni. Quasi nascosta, introduce in un sottoscala dove ordinati in scaffali, ci sono vestiti, giochi, e tutto quel che potrebbe essere utile a chi non ha nulla. Li', disposti a portata di mano per i poveri del quartiere.

Ogni giorno, in una struttura adiacente al bar, vengono volontari dalla Turchia ma anche dall'Europa per cucinare e distribuire pasti a  piu' di cento persone. Quest'oggi il pasto era offerto per la memoria di un defunto. E cosi' mi sono ritrovato a servire e documentare questa realta' nascosta e sconosciuta ai molti.

Quando alla fine del servizio ci siamo ritrovati a parlare nel bar fino a tardi ho chiesto a Selay perche' facessero questo servizio. <<Io lo faccio perche' mi ha permesso di incontrare me stessa.>>

Era ormai mezzanotte quando mi sono ritirato nell'hotel che Ali si offerto di pagarmi. I giorni successivi ho avuto ospitalita' da un caro vecchio amico cosciuto a Bologna. Alper, vive nella zona asiatica di Istanbul, dall'altra parte del Bosforo. Sono anni che pratica yoga e, caso vuole, che la sua insegnante, oltre a essere isttruttrice e  scrittrice, sia anche sociologa. Per cui non mi sono fatto scappare l'occasione di intervistarla. E' stato un incontro lungo pieno di domande e curiosita' alle quali Defne Suman e' stata lieta di rispondere.

Dalle sue parole mi sono reso conto che la distanza tra Turchia e Unione Europea e' una distanza piu' psicologica che pratica. Mi sono reso conto che la nostra idea di "loro" e' permeata in gran parte da un concetto nominato "orientalismo" per il quale vediamo quest'asia come qualcosa di esotico fermo nel tempo, quando in realta' le differenze non sono  cosi' marcate. Mi faceva Defne l'esempio dei sui anni in America, quando  spesso le chiedevano che lingua si parlasse in Turchia, se avessero i caratteri arabi, come conosceva l'inglese e perche' non portasse il velo. Nulla di tutto questo, nulla, ma  cio' che mi ha emozionato di piu' e' stata la sua risposta ad una delle mie ultime domande. Le ho detto che avvicinandomi sempre di piu' al centro di Istanbul, percorrendo strade di palazzi aventi piu' di cinquanta piani e vetrate,  quando finalmente ho visto da lontano le antiche mura di una fortificazione bizantina, mi sono fermato ad osservarle da lontano. Mi ero reso conto che la magia di una citta' storicamente determinante come Costantinopoli aveva perso in me, il suo fascino alla vista. Per cui una delle mie ultime domande e' stata, <<credi che Istanbul stia perdendo parte della sua anima?>>

Lei sorrideva prendendo la tazza del the' che stava sorseggiando e, dopo una breve pausa, affermava <<osserva questa tazza: abbiamo perso il rapporto con l'autore dell'oggetto, i palazzi di buisness e degli hotel superano di gran lunga l'altitudine dei minareti, e i  fiori, che una volta coloravano le strade, stanno scomparendo. Ma non e' Istanbul che sta perdendo la sua anima, e neanche la Turchia, e' tutto il mondo che sta perdendo parte di se'. Il mio augurio  alle persone che guarderanno quest'intervista e' di venire a visitare Istanbul prima che sia troppo tardi, ma il mio messaggio e la mia speranza al mondo sono che riusciamo a trovare una sintesi tra il futuro verso il quale ci stiamo direzionando e il collegamento con la natura della vita. Poiche' se la Terra soffre, come possiamo  noi far finta di stare bene?>>

Ho accompagnato Defne e la sua allieva Pnar sul traghetto, parlando della vita e sorseggiando un çay, mentre i gabbiani fuori  inseguivano il traghetto sperando che qualcuno possa lanciargli del pane avanzato. E mentre le onde e le meduse scomparivano dietro di noi sotto un cielo grigio e sopra una mare blu, le guardavo allontanarsi lentamente.


Ma Istanbul, cos'hai ancora in serbo per me?

Daniele Ventola, antropologo e viaggiatore

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Per sapere di più su questo viaggio curiosate nel sito web www.ventodellaseta.org .

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