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Parlare,descrivere,aiutare
Alda Merini è una poetessa che stimo molto ed è un piacere per me leggere i suoi "saggi",le sue "frasi",i suoi "vissuti"

Alda Merini e "tutti i pazzi come noi"
Sapevo che Alda Merini era stata rinchiusa in manicomio,sapevo che la grande poetessa ,così come molti altri "Geni" della pittura,della letteratura ,dell'architettura venivano ritenuti" pazzi ",malati di mente,disturbati ma non sapevo come fosse stata la sua e la loro triste esperienza " in questi luoghi di cura dopo aver letto questo suo scritto :
Per non dimenticare
da "L'altra verità. Diario di una diversa." di Alda Merini
"Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po' per l'effetto delle medicine e un po' per il grave shock che avevo subito, rimasi in stato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.Quella scarica senza anestesia
Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla.
E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni.
Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.
In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l'anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L'attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.
Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all'elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l'atroce ricordo».
-Alda Merini (credit)
A tutto c'è rimedio
La chiave di svolta,per poter cambiare la nostra vita,la nostra "sofferenza" esiste,
non è una casa di cura ,no assolutamente,e nemmeno il manicomio....
La chiave di svolta è parlare,chiedere aiuto,descrivere quello che proviamo,"capire "quello che "sentiamo".
Non è una pillola la soluzione,non sono gli ansiolitici,i tranquillanti,gli elettroshock a farci "ritornare "quello che noi siamo veramente.
Ci sono molte persone in grado di farci capire come uscire da quel circolo vizioso che è la confusione....
Trattare le emozioni,parlare,.....
Mille e centomila volte lo ripeterò ,ad alta voce....
lo dico per me ,per voi per tutti coloro che si "ingozzano"e poi vomitano ....e quando salgono sulla bilancia hanno paura di guardare quel numero in più ....quel chilo in più che è una emozione non trattata...
lo dico a tutti coloro che prendono una "spada"per iniettarsi la morte in vena.....
lo grido a tutti quelli che trovano rifugio in un bicchiere di vino che poi diventano 10,100 bicchieri di alcool e vengono chiamati volgarmente "alcolizzati"....
Lo grido a tutti coloro che "dipendono"da un qualsiasi cosa pur di non voler descrivere e parlare del loro malessere....
Ma cosa ve lo dico a fare,
siete voi padroni della vostra VITA,siete voi a decidere cosa fare e come MORIRE....
la chiave di svolta esiste ,basta semplicemente parlare e chiedere aiuto