Cristian Aliprandi

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Violenza sulle donne: una giornata per dire “no” tutti i giorni

2019-11-22 17:11:51

Il 25 novembre è la Giornata contro la violenza sulle donne. A cosa ci si riferisce quando se ne parla, perché è stata istituita, a chi si devono rivolgere le vittime o le donne in pericolo. Ecco storia, dati, statistiche, numeri su questo fenomeno ancora troppo diffuso anche in Italia

Ricevere uno schiaffo o una spinta, essere attaccata o minacciata verbalmente, venire controllata costantemente e in modo soffocante dal partner, vedersi negato l’accesso alle risorse economiche dal marito o dal compagno, essere costretta ad avere un rapporto sessuale contro la propria volontà. Stalking, anche nella sua versione “cyber”, violenza psicologica, offline e online, revenge porn. Sono solo alcuni esempi di cosa sia la violenza sulle donne, una violazione dei diritti umani tra le più diffuse e persistenti secondo l’Onu.

Per questo l’assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre del 1999, con la risoluzione 54/134, ha deciso di celebrare il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Per creare maggiore consapevolezza in chi la subisce ma anche in chi la esercita. Per far sì che certe azioni distruttive nei confronti di donne e ragazze non rimangano più sotto traccia e impunite. Affinché le stesse non vengano stigmatizzate per il fatto di aver avuto il coraggio di denunciare.

25 novembre: storia della Giornata contro la violenza sulle donne

Il giorno non è stato scelto a caso tra i 365 che compongono l’anno. Se è vero che la storia è un affastellamento di momenti cruciali, alcuni lo sono più di altri. Era il 25 novembre del 1960 quando i corpi delle tre sorelle Mirabal – Patria, Minerva e Maria – furono ritrovati in fondo a un precipizio. Addosso i segni evidenti della tortura. Erano state catturate in un’imboscata dagli agenti dei servizi segreti del dittatore Rafael Leònidas Trujillo, che per più di trent’anni ha governato la Repubblica Dominicana.

Le donne, brutalmente uccise mentre stavano andando a trovare i loro mariti in carcere, erano coinvolte in prima persona nella resistenza contro il regime. Il loro nome in codice era Las Mariposas. L’omicidio de “Le farfalle” ha scatenato una dura reazione popolare che ha portato nel 1961 all’uccisione di Trujillo e quindi alla fine della dittatura. La data è stata commemorata per la prima volta durante il primo Incontro Internazionale Femminista, che si è svolto a Bogotà, in Colombia, nel 1980. Da lì, il 25 novembre ha iniziato ad assumere un valore sempre più simbolico.

Convenzione di Istanbul e legge su femminicidio in Italia

Un ulteriore passo in avanti nel riconoscimento della violenza sulle donne come fenomeno sociale da combattere è stato fatto con la Dichiarazione di Vienna del 1993.

«I diritti umani delle donne sono un’inalienabile, integrale e indivisibile parte dei diritti umani universali. La completa ed uguale partecipazione delle donne nella vita politica, sociale ed economica a livello nazionale, regionale ed internazionale e lo sradicamento di tutte le forme di discriminazione in base al sesso sono l’obiettivo prioritario della comunità internazionale».

Così, più di vent’anni fa, la Seconda conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, definiva quelli delle donne. Dal punto di vista interno, a partire dagli anni ’70 è stata messa in atto una stratificata opera di modernizzazione della legislazione, culminata nel 2013 con la ratifica dell’Italia della Convenzione di Istanbul (legge 27 giugno 2013 n. 77) e l’emanazione della cosiddetta legge sul femminicidio (d.l. 14 agosto 2013, n. 93).

Violenza sulle donne: dati e statistiche sull’Italia

Se la legge va in una direzione, i dati però descrivono una realtà quasi diametralmente opposta. Secondo le ultime stime dell’Istat sulla violenza di genere relative al 2016, nel nostro Paese sono state 6 milioni 788 mila le donne fra i 16 e i 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale, una su tre. Di queste, 2 milioni 800 mila, ovvero il 13,6%, hanno subito violenza da partner, attuali o ex.

Un altro numero preoccupante riguarda le giovanissime: il 10,6% delle donne dichiara di aver subìto una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni e in quasi l’80% dei casi gli autori erano persone conosciute (parenti e familiari, amici di famiglia, compagni di scuola, amici, conoscenti).

“Questo non è amore”: il femminicidio nel 2018

Per quanto riguarda il 2018, stando ai dati diffusi dalla polizia nell’ultimo rapporto “Questo non è amore”, nei primi nove mesi dell’anno si è registrato un calo dei “reati spia” che possono precedere i femminicidi (maltrattamenti in famiglia, stalking, percosse, violenze sessuali).

Il numero delle donne uccise però è calato solo di 3 unità: dai 97 omicidi dello stesso periodo del 2017 si è passati ai 94 del 2018. Di questi, 32 rientrano nella categoria dei femminicidi, i casi cioè in cui una donna è uccisa in ragione del proprio genere.

Sempre secondo la polizia è il contesto familiare quello in cui la maggior parte delle volte la donna soccombe in modo definitivo alla discriminazione nei confronti del suo genere. Infatti, se sul totale dei casi di omicidio volontario commessi nei primi mesi del 2018 il 41% delle vittime è di sesso femminile, la percentuale delle donne uccise in ambito familiare e/o affettivo sale al 72 per cento.

A chi fare denuncia: Telefono Rosa e Centri Antiviolenza

Trovare la forza per denunciare non è facile e spesso è questo il primo ostacolo da superare per le vittime. Per fortuna, comunque, oggi gli strumenti a disposizione sono sempre più capillari. Oltre alle forze dell’ordine, in caso di pericolo ci si può rivolgere al Telefono Rosa, associazione nata nel 1988 e che oggi rappresenta un punto di riferimento per le donne che subiscono violenza. Il centralino telefonico è attivo tutti i giorni, 24 ore su 24. Al numero 1522 rispondono le esperte volontarie.

Una donna in pericolo o che ha già subito violenza può anche rivolgersi direttamente a un Centro Antiviolenza. Secondo le ultime stime del ministero delle Pari Opportunità, nel 2017 in Italia c’erano 258 Case Rifugio, ovvero luoghi dove le donne vittime possono nascondersi e proteggersi e 296 Centri Antiviolenza, 108 in più rispetto al 2013.

Di.Re, l’associazione contro la violenza sulle donne

Di questi, 85 fanno parte della rete Di.Re (Donne in rete contro la violenza), la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne, che affronta il tema della violenza maschile sulle donne secondo l’ottica della differenza di genere.

«Se il dato normativo formale in Italia ha avuto sviluppi concreti, lo stesso purtroppo non può dirsi per tutto ciò che è necessario per garantire l’implementazione efficace delle norme da parte dei soggetti a ciò preposti per dare buone risposte alle donne e figli/e che chiedono supporto per uscire dalla violenza».

Questo è quanto si legge nell’ultimo rapporto ombra stilato da oltre 30 associazioni ed esperte coordinate da D.i.Re, per il Grevio, organismo indipendente del Consiglio d’Europa costituito da esperte/i che monitorano periodicamente l’applicazione della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne e la violenza domestica nei diversi paesi che l’hanno ratificata.

Basta violenza sulle donne: un tema da affrontare da un punto di vista culturale

Proprio la differenza di genere è la chiave di volta su cui strutturare gli interventi secondo le responsabili di Di.Re. «Il presente Report – si legge – ha scelto di enfatizzare, per quanto possibile, gli aspetti non penalistici e non criminali della Convenzione di Istanbul e di evidenziare i problemi che ostacolano in Italia una buona applicazione della Convenzione: prima di tutto, come filo conduttore attraverso i singoli temi, il problema della cultura sessista e misogina della società italiana a tutti i livelli e la carenza di educazione sin dalla scuola, ma anche nella formazione professionale in tutti gli ambiti, che superi la visione stereotipata dei ruoli uomo-donna».