Cinzia Giluni

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LA MORTE

2019-05-22 19:32:19

LA MORTE DA DIVERSI PUNTI DI VISTA

DEFINIZIONE



La morte è la cessazione delle funzioni biologiche che definiscono gli organismi viventi. Si riferisce sia a un evento specifico, sia a una condizione permanente e irreversibile. Con la morte, termina l'esistenza di un vivente o più ampiamente di un sistema funzionalmente organizzato. 

(WIKIPEDIA)


Io oggi vorrei approfondire tutto ciò sia da un punto di vista delle emozioni che entrano in gioco quando si affronta la morte ma anche dai vari punti di vista in cui può essere vista la morte.

LA MORTE NELLA MIA INFANZIA

La prima morte che ricordo di aver vissuto fu quella di un mio zio, non ricordo quanti anni avessi sinceramente, ricordo solo che mi portarono a visitare il suo corpo prima che fosse chiuso nella bara, in quella occasione non provai emozioni, l unica cosa che mi rimase impressa fu la STATICITÀ della morte ma forse ero troppo piccola per focalizzare altro.


A dodici anni ho subito la morte di mia madre e anche qui devo dire che non l ho vissuta in termini negativi anzi...


Nell articolo in cui parlo di me racconto a larghe linee quello che ho provato e potete trovarlo Qui ma oggi vorrei andare più a fondo.


La morte di mia madre non è stata una morte improvvisa ma è stata preceduta da una malattia durata mesi in cui mia madre aveva completamente perso la sua identità, sotto tutti i punti di vista. 


Da una parte lei non ricordava più niente della sua vita precedente la malattia, non ricordava le persone e quindi non riconosceva me ne nessuno dei suoi cari, dall'altra anche da un punto di vista fisico la mamma che io conoscevo non c era più, la mamma sorridente dai lunghi capelli non c era più.


Quando io la vidi era una donna con capelli rasati, con tracheostomia, sondino, catetere, flebo, immobile in un letto quindi seppure di fatto mia mamma era viva in quel letto, dal mio punto di vista di ragazzina di dodici anni la mia mamma era morta la sera in cui si era ammalata, l'ultima sera che io la vidi che stava bene. 

Quando poi si spense definitivamente quindi secondo la terminologia di Wikipedia di fatto fu solo una riconferma di quello che io sapevo già.


La morte reale di mia mamma fu solo una sorta di liberazione perché quella che io vedevo in quel letto di ospedale non era la mia mamma e io non ero certa di volere che ritornasse a casa in quelle condizioni.


A livello emozionale mi ritrovai in una sorta di apatia, quando mio padre comunicò che mamma se ne era andata, il mio pianto disperato e la mia fuga furono collegati non tanto alla notizia della morte ma quanto alle urla disperate di mia zia e mia nonna, come se quelle urla mi avessero risvegliato da una sorta di torpore e come se il mio pianto mi volesse dire che ero una figlia cattiva perché gli altri provavano dolore ed io no.


Solo anni dopo lo psicologo mi spiegò che il dolore della morte di solito viene percepito a piccole dosi diluite nel tempo perché se solo lo sentissimo tutto insieme moriremmo noi stessi, specialmente il dolore di un bambino per la morte di un genitore quindi è una sorta di autoprotezione che abbiamo. 


In effetti il dolore x la mancanza di mia madre iniziai a percepirla l anno successivo e ancora nelle date importanti della mia vita, potrei quasi dire che la mancanza, il dolore lo sento più oggi che allora seppure oggi ormai me ne sono fatta una ragione ed ecco che ritornano le parole dello psicologo, perché il dolore inizio a sentirlo oggi dopo 36 anni dalla sua morte, anni in cui ho avuto la possibilità di elaborare e quindi per quanto possa far male comunque non uccide.


LA MORTE E LA MIA PROFESSIONE

Oggi vista la mia professione sono "costretta" a convivere spesso con la morte ma la vivo veramente sotto ogni sfaccettatura visto che mi è capitato in più di una occasione di accompagnare i miei pazienti nel loro ultimo viaggio e stranamente con alcuni pazienti con cui ero più legata ho desiderato di poter essere presente in quell attimo.


Già durante la scuola infermieri, già nei primi giorni di tirocinio ho assistito al decesso di diversi pazienti e mentre alcune mie amiche affrontavano la cosa piangendo io ho sempre mantenuto un atteggiamento distaccato, non che non mi dispiacesse ma emotivamente era come se avessi la spina staccata.


Mi sono sempre chiesta perché e sinceramente non sono mai riuscita a spiegarmelo completamente.


Potrei capirlo oggi che dopo 25 anni.di lavoro "ci ho fatto l abitudine" (non prendete l'accezione negativa del termine, non è abitudine intesa in senso negativo ma nel senso che se vuoi riuscire a fare questo lavoro devi necessariamente staccarti emotivamente altrimenti non si riuscirebbe a lavorare), comunque è difficile spiegare come mai fin dall'inizio sono riuscita ad avere questo distacco.


 L'unica spiegazione che mi sono data è che quando mio padre mi portò a vedere mia madre dopo quattro mesi dal suo malore si raccomandò che io non piangessi e quindi fin da quel momento ho dovuto imparare a soffocare le mie emozioni, quindi diciamo che avevo imparato fin da piccola a nascondere le emozioni per cui farlo con i pazienti mi veniva naturale (questa è l unica spiegazione che mi sono data ma non so se corrisponde alla realtà delle cose)


Ricordo come se fosse oggi la mia prima paziente domiciliare, una paziente oncologica terminale, ci fu subito con lei un legame particolare, avevamo tante cose in comune, ho sperato che spirasse con me e so che anche lei lo avrebbe voluto e così è stato.


Dopo di lei ho perso altri pazienti a domicilio, alcuni mi sono rimasti nel cuore più di altri, a tutt'oggi sto seguendo dei pazienti e anche con loro visto che sono anni ormai che li seguo spero di poter essere loro accanto anche nel loro ultimo giorno.


PER CONCLUDERE

Ci sono altre due cose che vorrei dire in merito a questo argomento. 


Intanto credo che per alcuni pazienti che hanno malattie molto invalidanti che costringono a "vivere" attaccati a delle macchine oppure invasi da mille sofferenze la morte non può che essere una liberazione e in quel caso io ad esempio sono contraria all accanimento terapeutico dove vedo solo l egoismo da parte di chi rimane di non volersi separare dal proprio caro quando bisognerebbe solo pensare alla cosa migliore x il paziente che a volte è il lasciar andare. 


Un'altra cosa che vorrei dire è la visione spirituale della morte.


X i cattolici la morte è solo la morte del corpo, ma l anima poi affronta una nuova vita,  X i testimoni di Geova la morte è un addormentarsi fino al momento in cui ci sarà la resurrezione della carne qui sulla terra, x i buddisti c è il ciclo della rinascita, 


io sinceramente non so cosa pensare, ma c'è una frase detta nel film "ad un metro da te" che sinceramente mi piace, nel film la protagonista paragona la morte alla nascita, 

il bimbo che sta nella pancia della mamma, ha una vita lì dentro che termina nel momento del parto con una nuova nascita, una nuova vita, può darsi che quando moriamo succeda la stessa cosa, finisca questa vita x iniziarne un.altra. 


Sinceramente non riesco a pensare che tutto finisca con la morte, sono certa che la vita continui, credo nell eternità, nel fatto che siamo energia e che quell energia si trasforma in continuazione, quindi sono certa che la morte sia solo la fine di un ciclo.


VOI COSA NE PENSATE?