Chiara Rey

Founder Senior

EDICOLA/ «QUEL GIORNO SULLA LUNA» di ORIANA FALLACI IN OMAGGIO CON IL CORRIERE della SERA

2019-08-06 22:18:14

30 lug 2019 - Un omaggio a Oriana Fallaci, che si richiama direttamente al libro «Quel giorno sulla Luna», in regalo questa settimana con il «Corriere della Sera» (fonte: Corriere della Sera)

Oriana Fallaci, il primo volume
della collana in omaggio per i lettori del "Corriere della Sera"

In edicola gratis con il «Corriere» fino a esaurimento copie «Quel giorno sulla Luna», il primo titolo della serie che raccoglie i romanzi e i saggi della giornalista e scrittrice fiorentina. 

Segue un articolo dedicato alla Fallaci di Roberta Scorranese:

Né allieva, né maestra, orgogliosamente lontana da pompose primogeniture, Oriana Fallaci è stata un curioso caso di insegnante senza discepoli, pioniera senza corpo d’armata. Non c’è nemmeno una fondazione a lei intitolata, così come farebbe sorridere parlare di «eredi». Eppure, col disincanto della giornalista che sulla lapide ha voluto solo la parola «scrittore», Fallaci ha aperto la strada a un piccolo esercito di inviate di guerra e reporter d’inchiesta. È stata l’avanguardia che ha scavato un tunnel in un mestiere che prima era maschio e basta, come ha detto anche Christiane Amanpour in una delle tante commemorazioni.

Ma sempre con la giusta distanza. A metà degli anni Settanta un’allora giovane Natalia Aspesi arrivò a Saigon dopo aver appena seguito un festival di Sanremo. Oriana Fallaci la squadrò dalla testa ai piedi: «È una vergogna che mandino te qui, tu che manco conosci i nomi dei fiumi del Vietnam». Non era veleno, era un divario necessario, che lei tracciava perché altrimenti da dove avrebbe attinto la forza per incunearsi nel mondo degli Henry Kissinger e dei Ruhollah Khomeini se non da una roca, guerriera, pienissima solitudine?

Forse è proprio questo il tratto che ha segnato la vita e la carriera di Oriana Fallaci: una solitudine rumorosa, fatta di colleghe da tenere a distanza ma (in fondo) da proteggere, di amiche assieme alle quali era bandita ogni ciancia su amori e figli, ma alle quali mostrava, di colpo, la pistola Smith & Wesson (Alice Oxman una sera rimase senza fiato) che teneva riposta dietro alla pila di libri.

Diceva che le donne «non sono una fauna speciale» e per questo rifiutava ogni battaglia di genere: forse perché lei stessa era cresciuta con la consapevolezza che certe cose, all’epoca, non erano traguardi collettivi, ma conquiste personali, forse duelli. E così fare la staffetta partigiana prima e imporsi nel difficile mondo del giornalismo dopo, non sono stati che due momenti della stessa intima lotta.

Perché prima della Oriana con l’elmetto e con la penna brandita davanti ai grandi della Terra, c’è stata l’Oriana che ha raccontato le sfilate di moda a Palazzo Pitti, all’epoca una delle poche «finestre» concesse alle donne che volevano testimoniare il proprio tempo. C’è stata l’Oriana delle interviste ai divi americani, per «L’Europeo», a metà degli anni Cinquanta: certo, erano pagine patinate, ma già in quegli scritti affiorava lo spirito guerrigliero e bastian contrario, quasi un assaggio delle celebri conversazioni con la storia, condite da riflessioni fulminanti («Hollywood non esiste. Hollywood è uno stato mentale, un miraggio. Non si guarda Hollywood con gli occhi, ma col desiderio, l’invidia, la suggestione»). 

Poi, però, arrivò la Luna. Fu proprio con gli scritti attorno alla missione spaziale americana che Fallaci fece il grande passo: un lungo soggiorno negli Stati Uniti, le interviste agli astronauti, il racconto di quello che era il sogno che univa un intero pianeta. Era il suo decollo verso un universo extraterrestre dove, come inviata per il suo giornale, avrebbe dovuto confrontarsi con generali e capi di Stato, combattenti e politici di lungo corso. E persino in amore, come si fa a non ravvisare una certa tattica militare nella donna che va ad aspettare il perseguitato politico fuori dal carcere (il greco Alekos Panagulis, leader dell’opposizione al regime dittatoriale dei colonnelli) ? Lo cerca, lo racconta, lo protegge, ci litiga e ci fa pace, si strugge nel dolore alla sua morte e poi fa una personale — e pressoché solitaria — battaglia per denunciarne (quello che per lei è stato) l’omicidio.

L’amico Furio Colombo ha scritto che la sua voce «era sempre molto diversa dalla “conversazione”, era piuttosto uno straordinario parlare in pubblico». Quanto questa intercapedine tra lei e gli altri abbia contribuito a farne una maestra senza allievi non lo sappiamo. Di certo ne ha edificato il personaggio: litigioso ma con uno stile personale, superbamente noncurante, polemica fino ai limiti, ma anche così avida di oltrepassare i confini. Della storia, della vita, della parola. Una teatralità la sua che la faceva sembrare sempre esposta, scoperta e in prima linea quando, invece, Oriana Fallaci visse lunghi, lunghissimi periodi di isolamento, in Italia e negli Stati Uniti. 

Ogni tentativo di definirla sarebbe inopportuno. Ci ha pensato lei stessa con una frase diventata poi il titolo di un suo libro, «Il mio cuore è più stanco della mia voce»: poteva mettere a riposo tutto, tranne le parole.