Io penso a tutta la sofferenza, al male allucinante, al colore grigio della pelle, alla faccia gonfia di cortisone, che senza impazzisci di dolore. Penso alla fatica di vivere per un anno e mezzo con una diagnosi di morte sospesa sulla testa che prima ancora di ammazzarti la vita, t’ammazza la speranza. Penso all’angoscia che si improvvisa sorriso perché è indispensabile ricordarsi come si sorride per non morire prima del tempo. Penso al pellegrinaggio laico fuori e dentro dall’ospedale, necessario per posticipare il più possibile la scadenza della vita.
E penso allo sfinimento che si trasforma, piano piano, in desiderio di incoraggiamento, in apertura del cuore e della mente. Perché il male esiste, esiste il cancro, esiste l’irrimediabile e l’ingiusto, l’incomprensibile e l’assurdo. Esiste la voglia di urlare e di prendere a calci il cielo, quella di bestemmiare i santi e le madonne di tutti i calendari.
E poi esiste la decisione di vivere fino all’ultimo giorno al massimo delle proprie possibilità, seminando affetto e speranza mantenendo chiaro nel cervello che se per te non ce n’è più, da qualche parte, nel mondo, qualcuno ha bisogno di nutrirla. Che sia per una malattia, un lutto, un abbandono, una sciocchezza: Nadia Toffa ha fatto questo negli ultimi mesi della sua vita. Ha sparso speranza e fiducia nel mondo, mentre lei non ne aveva più. E solo per questo merita di venire ringraziata. 🌹