La filosofia del libero arbitrio
Vorrei soffermarmi oggi su una delle più grandi ed importanti libertà dell’uomo e del suo valore che mai deve essere soppresso, limitato od escluso: il diritto al libero arbitrio.
Ciò che invece sta succedendo nella nostra Italia con un Governo che piano piano si sta beffando anche della libertà già espressa con una votazione, ma il rispetto del cittadino deve prevalere ed essere rispettato al di là di ogni becero interesse personale o di gruppo (che fa gli interessi di alcuni a danno dei tanti).
Meditate gente perché è coi vostri diritti inviolabili che essi stanno giocando.
Vi lascio ora alla lettura di alcune discussioni filosofiche sull’esistenza o meno del libero arbitrio, una lettura lunga ma non noiosa e sicuramente interessante perché ci da modo di pensare a volte quanto siamo condizionati da fattori esterni senza rendercene conto.
Il libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona è libera di scegliere da sé gli scopi del proprio agire, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta è liberamente determinata.
“Il libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona è libera di scegliere da sé gli scopi del proprio agire, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta è liberamente determinata.
Ciò si contrappone alle varie concezioni secondo cui questa possibilità sarebbe in qualche modo predeterminata da fattori sovrannaturali (destino), o naturali (determinismo), per via dei quali il volere degli individui sarebbe prestabilito prima della loro nascita: si parla allora a seconda dei casi di predestinazione, servo arbitrio o fatalismo.” [1]
Ma siamo veramente liberi ed incondizionati nelle nostre scelte?
Scopriamolo attraverso alcune ricerche fatte dagli studiosi della materia.
In un articolo pubblicato quasi vent’anni fa [2], gli psicologi Dan Wegner e Thalia Wheatley hanno avanzato un’ipotesi rivoluzionaria: l’esperienza di compiere intenzionalmente un’azione spesso non è altro che l’inferenza causale di determinate influenze che casualmente hanno incontrato i nostri pensieri ed abbiano causato alcuni comportamenti.
La sensazione in sé, tuttavia, non ha alcun ruolo causale nella produzione di quel comportamento, questo a volte può indurci a pensare di aver fatto una scelta quando in realtà non l’abbiamo fatta, o di aver fatto una scelta diversa da quella che abbiamo fatto in realtà.
I nostri precedenti storici, le esperienze vissute e l’influenza dell’ambiente determinano la formazione di situazioni favorenti o meno lo sviluppo di alcune nostre decisioni, cambiando i fattori indicati avremmo sicuramente fatto delle scelte diverse o con delle condizioni diverse.
Ma gli studiosi Wegner e Wheatley sono andati oltre a tale semplice formulazione.
Supponiamo, come propongono Wegner e Wheatley, di osservare inconsciamente noi stessi che effettuiamo qualche azione, come prendere una scatola di cereali al supermercato, e di arrivare solo dopo a dedurre che lo abbiamo fatto intenzionalmente.
Se questa è la vera sequenza degli eventi, come potremmo essere ingannevolmente indotti a credere di aver voluto fare quella scelta prima di avere osservato le conseguenze di quell’azione?
Questa spiegazione del modo in cui pensiamo il nostro agire sembrerebbe richiedere una sorta di soprannaturale causalità a ritroso, in cui la nostra esperienza di volontà cosciente sarebbe sia un prodotto sia una causa apparente del comportamento.
In uno studio appena pubblicato su “Psychological Science”, Paul Bloom ha cercato di dare una risposta a questo enigma.
Forse, nel preciso momento in cui sperimentiamo una scelta, la nostra mente sta riscrivendo la storia, inducendoci a pensare che questa scelta – che è stata effettivamente completata dopo che le sue conseguenze sono state percepite inconsciamente – sia stata una scelta che avevamo fatto fin dall’inizio.
Anche se il modo esatto in cui la mente potrebbe farlo non è ancora pienamente compreso, fenomeni simili sono già stati documentati.
Per esempio, vediamo il moto apparente di un punto prima di vedere quel punto raggiungere la sua destinazione, e sentiamo un tocco fantasma che si sposta lungo il braccio prima di percepire un tocco reale in un punto più in là su di esso.
Le illusioni “postdittive” di questo tipo in genere sono spiegate notando che c’è un ritardo nel tempo impiegato dalle informazioni per raggiungere la consapevolezza cosciente: essendo leggermente in ritardo rispetto alla realtà, la coscienza può “prevedere” eventi futuri che non sono ancora entrati nella nostra coscienza, ma che inconsciamente sono stati già codificati, creando così l’illusione che un evento futuro alteri un’esperienza passata.
Sono le cosiddette previsioni predittive ed avvenimenti auto-avveraranti.
In uno dei nostri studi, ai partecipanti sono stati più volte mostrati sul monitor di un computer cinque cerchi bianchi in posizioni casuali e sono stati invitati a scegliere mentalmente, e in fretta, uno dei cerchi prima che uno di essi si illuminasse di rosso.
Se il cerchio diventava rosso così velocemente che i soggetti avevano la sensazione di non essere stati in grado di completare la loro scelta, potevano segnalare di non aver finito in tempo, in caso contrario, indicavano se avevano scelto il cerchio rosso (prima che diventasse rosso) o un cerchio diverso.
Abbiamo quindi analizzato la probabilità che le persone indicassero una previsione riuscita tra i casi in cui esse pensavano di aver avuto il tempo di compiere una scelta.
All’insaputa dei partecipanti, il cerchio che si illuminava di rosso in ogni prova dell’esperimento era scelto in modo del tutto casuale dal computer. Quindi, se i partecipanti avessero veramente completato le loro scelte quando affermavano di averlo fatto prima che uno dei cerchi diventasse rosso, avrebbero dovuto indicare il cerchio rosso in media una volta su 5.
Ma le prestazioni dei partecipanti deviavano di un irrealistico 20 per cento da questa probabilità, superando addirittura il 30 per cento quando un cerchio diventava rosso in modo particolarmente rapido.
Questo modello di risposta suggerisce che la mente cosciente dei partecipanti a volte aveva scambiato l’ordine degli eventi, creando l’illusione che una scelta avesse preceduto il cambiamento di colore quando, in realtà, era stata distorta da quel cambiamento.
È importante sottolineare che la scelta del cerchio rosso segnalata dai partecipanti scendeva a valori vicini al 20 per cento quando il ritardo del cerchio nell’illuminarsi di rosso era abbastanza a lungo da impedire alla mente subconscia di ingannare la coscienza e sussurrare il cambiamento di colore prima che venisse completata una scelta consapevole.
Questo risultato ci ha garantito che i partecipanti non stavano semplicemente cercando di ingannarci (o di auto-ingannarsi) sulle loro capacità di previsione o semplicemente che gli piaceva farci sapere che erano stati corretti.
Infatti, le persone che hanno manifestato l’illusione dipendente dal tempo erano spesso completamente inconsapevoli della loro prestazione superiore alle probabilità quando, nel breve colloquio che seguiva l’esperimento, si informavano su di essa.
Inoltre, in un esperimento correlato abbiamo scoperto che il risultato della scelta corretta non era stato indotto da confusione o incertezza su ciò che era stato scelto: anche quando i partecipanti erano molto fiduciosi nella loro scelta, hanno mostrato una tendenza a fare la “scelta” corretta un numero impossibile di volte.
Complessivamente, questi risultati suggeriscono che possiamo ingannarci sistematicamente sul modo in cui operiamo una scelta, anche quando abbiamo una forte intuizione del contrario.
Ma perché la nostra mente ci ingannerebbe in modo apparentemente così stupido? Questa illusione non dovrebbe essere devastante per la nostra vita mentale e il nostro comportamento?
Forse no. Forse l’illusione può essere spiegata semplicemente con i limiti dell’elaborazione cerebrale delle percezioni, che inducono confusione solo alle scale temporali brevissime dei nostri esperimenti (o di esperimenti simili), ma che difficilmente riguardano il mondo reale.
Una possibilità più speculativa è che le nostre menti siano progettate per distorcere la nostra percezione delle scelte e che questa distorsione sia una caratteristica importante (e non semplicemente un “baco”) del nostro apparato cognitivo.
Per esempio, se l’esperienza della scelta è un tipo di inferenza causale, come suggeriscono Wegner e Wheatley, scambiare l’ordine di scelta e azione nella coscienza può aiutarci a comprendere che siamo esseri fisici che possono produrre effetti nel mondo. Più in generale, questa illusione può essere fondamentale per lo sviluppo di una fede nel libero arbitrio che, a sua volta, giustifica la punizione.
Eppure, che ci siano o meno dei vantaggi nel credere che abbiamo più controllo sulla nostra vita di quanto ne abbiamo, è chiaro che l’illusione può andare troppo oltre.
Se una distorsione da un quarto di secondo nella nostra esperienza temporale può non essere un grosso problema, distorsioni su tempi più lunghi – come quelle che possono affliggere le persone con problemi mentali come la schizofrenia e disturbo bipolare – potrebbero deformare in modo sostanziale e negativo la prospettiva di fondo di una persona sul mondo.
Le persone con queste malattie possono cominciare a credere di poter controllare il tempo o di avere una straordinaria capacità di prevedere il comportamento delle altre persone, in casi estremi, possono anche convincersi di avere poteri divini.
Resta da vedere fino a che punto l’illusione postdittiva della scelta che osserviamo nei nostri esperimenti sia collegata a questi aspetti più preoccupanti della vita quotidiana e della malattia mentale.
L’illusione può riguardare solo a un piccolo insieme delle nostre scelte, fatte in fretta e senza pensarci su troppo. o può essere pervasiva e onnipresente, così da governare tutti gli aspetti del nostro comportamento, dalla nostre decisioni più insignificanti a quelle più importanti.
Molto probabilmente, la verità sta nel mezzo.
Comunque stiano le cose, i nostri studi si aggiungono a un crescente corpo di ricerche che suggeriscono che anche le nostre convinzioni apparentemente più ferree relative al nostro operato e alla nostra esperienza cosciente possono essere del tutto sbagliate.
La teoria sopra indicata è la classica teoria che si applica alle statistiche di mercato, come ad esempio l’influenza che può avere nella nostra scelta l’esposizione del prodotto alla nostra portata d’occhio sullo scaffale del supermercato, o l’impatto positivo che ha una determinata reclame pubblicitaria vista in TV.
Ma anche un’altra teoria ipotizza che le scelte da noi fatte quotidianamente non sono il frutto delle nostre sole sensazioni o desideri ma che questi vengono suggeriti e manipolati facilmente.
In un altro articolo pubblicato online da Enzo Pennetta il 16.01.2016 [3] si tratta della questione che vorrebbe il libero arbitrio essere un fattore ben diverso dal riduzionismo.
Col termine riduzionismo si fa riferiamo a quell’approccio che spiega in termini puramente materialistici il rapporto esistente tra la mente ed il cervello.
Il riduzionismo si propone di studiare la mente riducendola ad un oggetto della fisica: leggi che descrivono il funzionamento della mente sarebbero riconducibili a leggi fisiche, quindi la mente deve essere studiata come qualsiasi altro oggetto fisico.
Assumendo che la mente si manifesti soprattutto in due aspetti, il cervello e il comportamento, il riduzionismo riduce la mente a questi aspetti e si propone di studiare solo questi, senza fare altre assunzioni su una eventuale realtà oltre o dietro questi fenomeni.
Con ciò di fatto si elimina ogni aspetto possibilmente metafisico della mente.
Perché il libero arbitrio confuterebbe il riduzionismo?
In breve, stando a quanto riportato dal Pennetta, dal momento che gli impulsi elettro-chimici dei neuroni del nostro cervello, come tutti i processi chimico-fisici, sono determinati dalle leggi della fisica mentre il libero arbitrio (affermatene la sua esistenza) si basa sulla libera volontà del soggetto, allora esso non può essere spiegato in termini riduzionisti, per cui il riduzionismo non può spiegare talea aspetto così importante della vita umana: niente potere esplicativo, niente giustificazione filosofica e il riduzionismo va scartato.
Il discorso scientifico-filosofico sul libero arbitrio, come avrete notato, non può essere reso facilmente indifferente a quello religioso, ma per non scaldare gli animi bisogna precisare la seguente situazione “a quattro classi” (utili per la sintesi che avevo preannunciato): esistono credenti che credono fortemente nel libero arbitrio (in primis i cattolici), esistono credenti che vi credono poco o per nulla (tutti quelli che accolgono o estremizzano il pensiero di Lutero), esistono non-credenti che però credono nel libero arbitrio e non-credenti che lo negano.
La posizione dei cattolici è facile da comprendere: se esiste il libero arbitrio, significa che sta al singolo sforzarsi di scegliere il Bene e di rifiutare il Male, tale scelta si ripercuote poi sul destino escatologico della persona ma già in questa vita diventano corollari il concetto di “peccato” e di capacità di Dio di non abusare della sua onnipotenza per determinare le scelte degli uomini (cioè per il cattolico l’uomo è libero perché Dio lo lascia libero).
Nel caso dei cristiani più fatalisti invece il peccato originale e la concupiscenza (la tendenza innata a preferire le scelte sbagliate) hanno corrotto troppo in profondità l’animo umano, per cui di fatto la sua libertà non esiste e solo la Grazia può portarlo alla Redenzione e alla vita secondo il Bene.
Mette curiosità la circostanza per cui una cosa che viene vista in toni pessimistici e cupi da alcuni cristiani (l’incapacità di scegliere liberamente) diventa libertaria per alcuni non credenti (la quarta classe citata prima).
Rientrano in questa categoria Friedrich Nietzsche e Michel Onfray.
Il primo scrisse in Ecce homo: “ Il concetto di “peccato” inventato insieme con gli opportuni strumenti di tortura, insieme col concetto di “libero arbitrio”, per confondere gli istinti e fare una seconda natura della diffidenza per gli istinti!”
Secondo Onfray un bravo ateo non dovrebbe limitarsi ad attaccare le religioni in sé ma anche tutte quelle conseguenze filosofiche che restano come impronte non cancellate anche in chi non è credente: non basta non essere cristiani, occorre abbandonare anche quelle “sotto-credenze” del tipo il libero arbitrio.
Una conseguenza di questo “ateismo radicale” è che va cambiato il modo in cui pensiamo alla figura del giudice.
Ormai tutti diamo per scontato che chi sia capace di intendere di volere sia responsabile delle proprie azioni e quindi perseguitabile penalmente e punibile se colpevole. Onfray riesce a vedere, giustamente, la metafisica che si nasconde dietro questo approccio al diritto:
Anche se il tribunale opera senza simboli religiosi, si attiva tuttavia in funzione di questa metafisica: lo stupratore di bambini è libero, può scegliere tra una sessualità normale con un partner consenziente e una violenza inaudita su vittime distrutte per sempre.
Perfettamente consapevole, dotato del libero arbitrio che gli permette di volere questo piuttosto che quello, preferisce la violenza – quando avrebbe potuto decidere diversamente! Di modo che in tribunale è possibile chiedergli conto delle sue azioni, ascoltarlo vagamente, non sentire quello che dice, e mandarlo a passare anni in prigione, dove probabilmente prima lo violenteranno, come benvenuto, poi marcirà in una cella, da cui uscirà senza che la malattia che lo affligge sia stata curata.
Il “povero pedofilo” che secondo Onfray in realtà non può controllarsi, non va punito ma curato, ma purtroppo: “La collusione tra libero arbitrio e scelta volontaria tra Bene e Male che legittima la responsabilità, dunque la colpevolezza, dunque la punizione, presuppone il funzionamento di un pensiero magico, che ignora ciò che invece viene chiarito dall’approccio postcristiano della psicanalisi di Freud e da altri filosofi, che mettono in evidenza la potenza dei determinismi inconsci, psicologici, culturali, sociali, familiari, etologici ecc..”
Il libero arbitrio è “magico”, cristiano, mentre il determinismo è “post-cristiano”, moderno e scientifico.
Ammesso pure che il determinismo sia post-cristiano e moderno, è davvero “scientifico”, cioè giustificabile grazie al riduzionismo?
Per rispondere ci facciamo aiutare da un articolo de L’Osservatore romano del 4 Marzo 2012 presente nel libro “Chi sono i nemici della scienza?” di Giorgio Israel.
Sono stati fatti diversi esperimenti che dimostrerebbero l’inesistenza del libero arbitrio, come quelli ad esempio descritti in “Mind Time” di Benjamin Libet.
Lo schema di tali esperimenti è il seguente: si chiede ad una persona, monitorata tramite risonanza magnetica o con altri strumenti che segnalino l’attività neuronale, di compiere una determinata azione semplice (far toccare indice e pollice oppure premete un bottone), quindi si vuole dimostrare che l’istante in cui parte l’impulso neuronale che comanda il gesto fisico avviene prima di quello che segnala l’atto di scegliere di compiere tale gesto, cioè che l’azione precede la scelta, di conseguenza non sarebbe vero che una persona scelga e poi agisca ma al contrario agisce e poi il cervello le riproduce la falsa consapevolezza di aver scelto liberamente.
Mentre è semplice trovare l’area del cervello addetta ad un dato movimento fisico, più complicato è trovare quella della scelta dello stesso gesto, cioè le aree che “predeterminano le intenzioni consapevoli”.
La più grande obiezione a tali esperimenti venne fatta da Giorgio Israel: “Non è difficile vedere i vizi di questa procedura.
In primo luogo, dare per scontato che esistano aree che «predeterminano» le intenzioni consapevoli indica che la tesi dell’inesistenza del libero arbitrio viene data per dimostrata prima di averlo fatto, anzi viene usata per dimostrarla.
Inoltre, è chiaro che è improprio chiedere a una persona di annunciare l’istante in cui egli assume una decisione per confrontarlo con un istante di natura totalmente diversa: quello in cui ha inizio una vaga «attività preparatoria» nel corso della quale viene elaborata la decisione: è evidente che il momento in cui rifletto se uscire o no di casa viene prima del momento in cui decido di uscire.
Ma c’è un vizio ancor più grave. Da un lato si misurano grandezze fisiche, osservabili misurabili con apparecchi di laboratorio: intensità di correnti, flussi sanguigni.
Dall’altro lato si ha a che fare con qualcosa di diverso, ovvero con un rapporto con cui il soggetto dichiara l’esistenza di uno stato mentale: “premo il bottone o indico una lettera, e così informo di aver compiuto la scelta”.”
In breve, non è vero che è stata osservata un’azione realizzata prima della sua scelta, perché si è misurato l’istante di tempo in cui la scelta è stata dichiarata, non presa.
Una risposta molto ampia a tale questione venne avanzata nel famoso saggio “Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante” del filosofo Douglas Hofstadter, vincitore tra l’altro del premio Pulizer.
Il riduzionismo di Hofstadter è molto particolare, dire che per lui l’autocoscienza, i pensieri e il libero arbitrio si spiegano in termini di processi neuronali è di fatto un torto al suo pensiero.
L’idea è che i processi neuronali avvengono nel cervello secondo le leggi della chimica e della fisica come già sappiamo mentre il libero arbitrio è la capacità dell’Io di muoversi in un altro tipo di spazio, lo spazio dei simboli, dove la capacità di accettare o di rigettare un dato pensiero o azione è possibile.
Tra cervello e mente però non esiste un “unico ponte” ben preciso e localizzato (tipo la ghiandola pineale che secondo Cartesio è la sede dell’anima), ma una struttura molto più complessa dove funge da concetto chiave l’autoreferenza (il cardine di tutto il suo saggio).
L’autoreferenza è la capacità che ha un sistema di riferirsi a sé stesso, resa possibile dall’esistenza di due livelli, quello di partenza e quello indicato dal prefisso “meta-“ (che vuol dire “oltre”).
Nel nostro caso, il livello base è quello delle cellule cerebrali e dei loro impulsi, poi vengono impulsi che agiscono su altri impulsi (potremmo chiamarli “meta-impulsi”), poi configurazioni di impulsi che agiscono su altre configurazioni e così via finché non si arriva agli ultimi due livelli costituiti dai simboli e dai simboli che agiscono sui altri simboli, in primis il simbolo dell’Io che agisce sui pensieri e sceglie quelli da tradurre in azione.
Il cervello segue le sue leggi, la mente le proprie garantendo sia il libero arbitrio sia un approccio “riduzionistico” anche se non troppo radicale.
Tutto molto interessante, in particolare per Hofstadter è cruciale il fatto che il soggetto non conosce che solo una parte dei suoi livelli con cui è strutturato questo “continuo” tra cervello e mente, per cui l’Io non agisce sui neuroni se non molto indirettamente e sicuramente non conosce i meccanismi deterministici delle sue cellule, conosce solo quei meta-livelli che gli siano “più vicini” e “Da questa situazione di equilibrio tra conoscenza di sé ed ignoranza di sé proviene la sensazione del libero arbitrio.”
Purtroppo la scienza non può rispondere alla domanda del perché esiste il libero arbitrio, perché per sua stessa natura la scienza è lo studio del come un sistema passa dallo stato A allo stato B e non altrimenti e non tramite una “scelta libera del sistema”.
D’altro canto non si può nemmeno negare l’esistenza del libero arbitrio perché cadrebbe l’idea in sé di dare un significato a quello che faccio e a quello che fanno gli altri, soluzione che Nietzsche ottenne negando l’esistenza del Bene e del Male.
Si può concludere dicendo che il libero arbitrio non può trovare una soluzione scientifica della sua esistenza o formazione, esso è il risultato di sensazioni, emozioni puramente umane ed intangibili, spesso inspiegabili con la chimica e la biologia del nostro corpo.
Esso è il prodotto del nostro pensiero derivante da un’osservazione o da una sensazione, quel che conta è che tale decisione sia il più possibile meno condizionata, l’incondizionato in assoluto non esiste, ma esiste sempre la possibilità di cambiare idea ed opinione se non la riteniamo più valida od adeguata.
Questo è dunque il libero arbitrio.