LA CITTA' FANTASMA CANALE MONTERANO A NORD DI ROMA [ITALIA ABBANDONATA]
CANALE MONTERANO, UNA DELLE TANTE "CITTA' DEL SILENZIO"
In una zona un po’ a nord di Roma, nei pressi di Manziana, c’è ciò che rimane dell’antica città abbandonata di Canale Monterano.
Vuole la Storia che al popolo etrusco sia da ascrivere l’origine della cittadina, pur se la colonizzazione dei luoghi ove scorre il torrente Mignone può vantare citazioni letterarie d’altissimo livello: ne fece cenno addirittura il « mago » Virgilio.
Trecento soldati gli dànno
(un cuore han tutti a seguirlo) quelli che vivono a Cere e del Minione nei campi, e Pirgi Vecchie e l’insalubre Gravisca.
(Virgilio, Eneide, Libro X, vv. 182-184)
Vorrebbe infatti la leggenda che Enea, scampato alla distruzione di Troia, dopo un periglioso viaggio per mare sia sbarcato sulle coste laziali, dove decise di stabilirsi insieme ai suoi compagni.
Enea non trovò immediatamente il consenso delle locali genti e dovette ricorrere all’alleanza con alcuni popoli che non gli si erano mostrati ostili. Tra questi popoli, proprio nel Canto X dell’Eneide, Virgilio accenna ad un contingente di trecento soldati provenienti dai “campi del Mignone”, ovvero dai luoghi attraversati da tale torrente, nelle valli della Tolfa e di Canale Monterano.
Ma tutto ciò potrebbe appartenere al suggestivo mondo delle leggende…
Invece ciò che appare certa è l’opera degli Etruschi nei pianori tufacei che circondano l’abitato di Monterano. Essi tagliarono a gradoni le pareti rocciose, ricavando anche strette strade d’accesso, facilmente controllabili e che rendevano quasi del tutto inespugnabile l’abitato.
Poiché per le abitazioni e i templi essi usavano legno e mattoni crudi ricavati dall’argilla, nulla è rimasto dei loro edifici, mentre muta testimonianza del passaggio di quei lontani nostri progenitori è costituito dalla necropoli rupestre le cui tombe, qua e là sono visibili prima di giungere ai luoghi che potrebbero essere affascinante meta di una interessante esplorazione ‘fuori porta’.
Dalla lingua etrusca deriva il nome del paese, poiché esso era quasi certamente chiamato Màntura, dal nome della divinità ctonia, sotterranea, Manturna, alla quale era dedicato il territorio ricco di fenomeni di vulcanesimo residuo.
Da Manturna prende il nome anche l’attuale ridente cittadina di Manziana, a pochissimi chilometri da Monterano, adiacente a un rigogliosissimo bosco di querce – la Silva Mantiana – che all’epoca circondava totalmente l’abitato estendendosi fino dai monti Ceriti al lago, dai monti della Tolfa all’altopiano dell’attuale Oriolo, nonché una pietra vulcanica – la trachite, familiarmente chiamata appunto “pietra manziana” – usata dagli Etruschi come materiale refrattario in forni e are sacrificali.
I Romani latinizzarono il nome in Manturanum e, da lì, a Monterano il passo fu breve.
All’epoca dei Tyrsenoi Monterano era ben collegata a città di maggiore importanza come Caere – l’attuale Cerveteri – tramite una via che scendeva in una profonda gola scavata nella roccia tufacea, il cosiddetto Cavone, fino alla valle del Bicione.
Poi, superato il torrente, risaliva il colle della Madonnella nella strettoia oggi denominata Canalicchio e, attraversati per alcuni chilometri i territori degli attuali paesi di Manziana e Castel Giuliano, raggiungeva finalmente il capoluogo della regione.
Ma se fosse stato necessario raggiungere Tarquinia, il ricco mercante che avesse voluto concludere affari in quest’altra importante città etrusca sarebbe sceso giù per il colle, avrebbe attraversato il torrente Mignone su un traballante ponte di legno – del tutto simile a quello usato fino a pochi anni addietro – e avrebbe proseguito sulla riva destra fino alla città.
Agli etruschi seguirono i Romani, le cui tracce della loro abilità in campo edilizio sono, ad esempio, osservabili nel cosiddetto Ponte del Diavolo, risalente al I secolo a.C., alla fine del periodo repubblicano, oppure in ciò che resta di Forum Clodii, un importante centro abitato sorto lungo la via Clodia, verso la collina di San Liberato, sul lago di Bracciano. Centro abitato sopravvissuto almeno fino al V secolo d.C. e poi abbandonato.
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente – nel 476 d.C. – e la paura delle continue invasioni dei popoli germanici spinse infatti i pochi abitanti rimasti a Forum Clodii a trasferirsi nella vicina Monterano che venne ricostruita, ampliata e fortificata. Sorsero rapidamente edifici di culto, le residenze del vescovo e dei vari ecclesiastici e le più povere abitazioni degli agricoltori e dei braccianti.
Ne seguì un periodo fiorente, caratterizzato anche da alterne vicende e influenzato, almeno dopo il XIV secolo, dal sorgere della florida e potente cittadina di Bracciano.
Non possiamo certamente, in queste pagine, seguire in dettaglio l’evolversi delle fasi storiche che portarono poi all’abbandono definitivo della città, ma saltando a piè pari secoli e secoli di vicende monteranesi, arriviamo al XVII secolo quando i vari Papi – con il consolidarsi dello Stato Pontificio – abbandonarono la diffusissima pratica del nepotismo prima maniera, caratterizzato dal voler a tutti i costi costruire uno stato per i propri nipoti nell’ambito dei territori della Chiesa, ovviamente a scapito di Stati vicini, e optarono per il cosiddetto piccolo nepotismo, che consisteva nel conferire ai propri parenti alti incarichi pubblici facendo così arricchire anche la propria casata.
A tale modus vivendi non fece eccezione Emilio Bonaventura Altieri, salito al soglio pontificio con il nome di Clemente X. E di lui vorrei fare brevemente cenno perché è a lui che Monterano deve una bella chiesa, con annesso convento, fatta realizzare da quel grande artista che fu Gianlorenzo Bernini.
Chiamato a Monterano, il Bernini progettò appunto la chiesa di San Bonaventura, fece realizzare una bella fontana ottagonale e riordinò mirabilmente la facciata del palazzo feudale. La chiesa è stata ristrutturata di recente proprio per non far cadere del tutto nell’oblio dettato dall’inesorabile trascorrere degli anni questa interessante opera del grande architetto.
Entriamo nella città…
La prima cosa che ci colpisce è ciò che resta di un maestoso acquedotto del Seicento, attorniato da resti di abitazioni, da un suggestivo fontanile e da qualche tomba etrusca a camera. Qualche metro a sinistra del fontanile che troverete nei pressi dell’acquedotto, potrete notare anche una curiosa incisione nella pietra posta all’inizio di un sentiero che si inerpica per aree che vi suggeriamo di esplorare.
La malaria e l’abbandono
Passato a miglior vita il papa Altieri che aveva voluto e sponsorizzato caldamente il fiorire di Monterano, subentrarono infatti gravi difficoltà legate al disordine amministrativo, a un diffuso malgoverno e anche ad una crisi economica dello Stato Pontificio. Decadde l’agricoltura e a ciò si aggiunse una gravissima epidemia di malaria.
Infatti, soprattutto d’estate, le sottostanti valli del Bicione e del Mignone si riempivano di stagni in cui la terribile zanzara anofele soggiornava piacevolmente, La scarsità di correnti d’aria e la carenza di acqua potabile accelerarono irrimediabilmente il decadere del paese e il rapidissimo spopolamento da parte dei più fortunati sopravvissuti.
Venne poi – alla fine del Settecento – il diffondersi di idee libertarie anche nel nostro Paese. Nel 1798 il potere temporale del papa decadde e si formò la Repubblica Romana che comprendeva Marche, Umbria e Lazio, protetta dalla Francia. L’anno successivo le stesse truppe francesi provvidero alla quasi totale distruzione di Monterano, anche a seguito di incomprensioni e diverbi con la locale popolazione.
Oggi, dopo quasi due secoli, l’area è stata in gran parte recuperata e, magari in una bella giornata primaverile, può sicuramente la suggestiva meta di una vostra avventura alla ricerca di alcune di quelle antiche vestigia che rendono sempre più affascinante il nostro Bel Paese.