Cristiana Lenoci

Blogger, redattrice web

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Violenza ostetrica, se ne parla troppo poco: la mia esperienza

2020-01-09 09:26:11

La nascita di un figlio è, per la mamma, un evento che non dimenticherà, uno di quelli che restano archiviati nella mente e nel cuore per tutta la vita. Oggi mio figlio compie quattro anni, ma solo adesso con lucidità riesco a scrivere qualcosa al riguardo.

Nonostante il dolore, la fatica fisica e la confusione, una mamma ricorda perfettamente anche i momenti che hanno preceduto e seguito la nascita del primo, attesissimo figlio.

Vorrei condividere con voi la mia esperienza per sollevare la riflessione su un argomento di cui, secondo me, non si parla abbastanza (e nel modo giusto): la violenza ostetrica.


Il mio è stato un parto naturale, preceduto da un lunghissimo travaglio, durato quasi un giorno intero. Ricordo il momento del parto concitato, con le luci forti fisse in faccia che mi impedivano di guardare bene quello che succedeva, parecchia gente intorno che non conoscevo. 


E poi- in particolare- alcune infermiere o assistenti che chiedevano al medico come “mettere i punti di sutura”, visto che era la loro prima volta. Il dottore, visibilmente scocciato, un po’ le piccava, un po’ le sfotteva con toni ironici. Il tutto avveniva mentre io, con la coda dell’occhio e accecata dalle luci, scorgevo la testa del bimbo che finalmente faceva capolino dalla pancia. Ogni tanto il medico interrompeva e si rivolgeva a me: “Forza signora, facciamolo nascere sto bambino che dobbiamo andare a dormire!”.


Mio figlio Savio è nato all’1.30 di una notte qualsiasi, in un ospedale che tanto non vale la pena citare. Appena venuto al mondo, lo hanno messo in culletta e portato via come un fuggiasco. Per il corridoio il papà e la nonna hanno potuto salutarlo di sfuggita. Io ho potuto guardarlo negli occhi e stringergli la manina solo alle sei del mattino. Alla mia (legittima) richiesta di poter stringere il bimbo anche solo per pochi minuti mi è stato detto: “Non si può, queste sono le regole”.

Ho trattenuto le lacrime, pensando che una mamma deve imparare da subito a soffrire in silenzio.


Poi, per mera precauzione (dato che al piccolo, al quinto mese di gravidanza, era stata diagnosticata una cisti al polmone sinistro) lo hanno portato in terapia intensiva. Nel reparto, dove vi erano tutti i bimbi nati prematuri (insieme al mio, nato alla 41esima settimana e di 3.5 kg!), si poteva entrare in orari rigorosamente prestabiliti. Io arrivavo sempre prima e pregavo di poter entrare per allattare. “Signora, il bambino ha già mangiato”, mi dicevano. Io, con il seno dolorante che scoppiava di latte, restavo lì con le lacrime agli occhi a fissare il mio piccolo oltre i vetri.


Ma non mi sono arresa. Solo un’ostetrica (e sottolineo UNA) del reparto mi si è avvicinata, ha capito il mio sconforto, ha asciugato le mie lacrime e mi ha detto: “Ti faccio vedere io come devi fare, così quando torni a casa potrai allattare da sola”. Non dimenticherò mai i suoi occhi e il suo sorriso.


Per le altre mio figlio era uno dei tanti piccoli ospiti, ed io la solita mamma con la fissazione dell’allattamento al seno. “Crescono bene lo stesso anche senza”, ripetevano come un mantra.


La violenza ostetrica nei confronti delle donne negli ospedali è una realtà, e non va taciuta. E’ come un tarlo che non si vede ma c’è, è fatto di soprusi, scarsa sensibilità, parole che feriscono come lame al cuore.


Gli occhi di mio figlio e la sua gioia di vivere e affrontare il mondo mi hanno dato la forza di mettere da parte tutto questo. A distanza di ben quattro anni ho deciso oggi di raccontare la mia esperienza, affinchè altre donne si riconoscano in me e capiscano ciò che ho potuto provare.


Le mamme e i loro piccoli sono gioielli preziosi da tutelare e trattare con la massima cura: sono esseri fragili e come tali vanno rispettati.


Grazie per la vostra attenzione, amici #Camers!