Cristiana Lenoci

Blogger, redattrice web

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Quell'incontro che non dimentichi più

2020-11-07 16:36:46

La prima volta che abbiamo incontrato Libera è stata nel 2013. Era un giorno di marzo. Io e Giuseppe, tornati a vivere insieme dopo un periodo di lontananza, avevamo deciso di crescere e accudire un cane.

D’altronde succede spesso, alle coppie che intendono mettere su famiglia, di ritrovarsi a fare qualche “prova di trasmissione” con un cane o altro animale domestico, prima di sentirsi pronti per un figlio.

Ma per noi, amanti degli animali e dei cani in particolare, la scelta era più che altro dettata dal forte desiderio di salvare un cane sfortunato e offrirgli una vita migliore, fuori dalle sbarre di un canile.

La prima persona a cui abbiamo chiesto consiglio è stata Chiara Valentino e ai suoi Amici di Balto. Lei, con l’amore e la passione che nutriva per i cani, ci ha fornito ogni informazione utile per adottare un cucciolo dal canile. E così abbiamo fatto.

Un pomeriggio ventoso io e Giuseppe abbiamo raggiunto in macchina il canile che, in quel periodo, si trovava sulla strada per Manfredonia. Da lontano si scorgeva un agglomerato di cucce con i cani che si aggiravano sui tetti come a scrutare l’orizzonte, all’entrata c’erano alcune gabbie messe una vicina all’altra. Appena entrati in quel luogo, una sensazione di tristezza e abbandono ci ha subito colpito.

I cani abbaiavano al nostro ingresso, il loro guaito era disperato. Dopo aver chiesto di qualcuno che potesse aiutarci, ci dicono che la gabbia dei cuccioli era in un angolo. Ce n’erano forse a decine, uno sull’altro, quelli più grandi graffiavano le sbarre.

Un piccolo pastore tedesco cominciò ad abbaiare verso di noi: ci guardava con occhi pietosi, cercava disperatamente un padrone che lo portasse fuori di lì. Mentre io cercavo di avvicinarmi e accarezzarlo, Giuseppe aveva rivolto lo sguardo altrove.

C’era un cucciolo, tutto bianco con il musetto rosa, che sembrava un agnellino. Era l’unico che non abbaiava, non sbraitava, non si metteva in mostra. Era lì, fermo, e guardava fuori dalla gabbia con gli occhi rassegnati. Ci chiedemmo se stesse bene, se per caso era malato. La risposta fu: “No, sta benissimo. Quel cane è una femminuccia, ha tre mesi e ha un carattere docile”.

Giuseppe ed io ci guardammo: era lei, l’avevamo trovata. Chiedemmo al tipo se potevamo portarla via, lui ci disse che aveva parlato con Chiara e quindi era ok.

I primi tempi Libera restò presso il terreno confiscato alla mafia dove Giuseppe si recava quotidianamente a lavorare. La chiamammo così proprio per questo particolare. Dopo qualche mese la portammo presso il Laboratorio di Legalità Francesco Marcone, dove tuttora vive felice e coccolata da tutti.

Bisognerebbe conoscerla per capire quanto sia speciale. Ma mi piace raccontare questo episodio, accaduto nel 2015, mentre io ero incinta di Savietto. Come ogni giorno andammo a trovare Libera e a portarle qualcosa da mangiare. Lei, che di solito fa le feste alzandosi sulle zampe, quel giorno esitava. Mi guardava come a chiedermi se potesse saltarmi addosso o meno. Io non dico nulla, la guardo soltanto. Da quello scambio di sguardi lei capisce che c’era qualcosa di diverso.

E dal giorno dopo fino alla nascita di Savio i suoi saluti furono diversi: una strusciata sulle gambe, come a voler proteggere la pancia. Un gesto che non dimenticherò, insieme a tanti altri. I cani non sono tutti uguali, e quel cane bianco che guardava fuori dalla sua prigione senza partecipare allo schiamazzo degli altri ci ha conquistato allora e per sempre.