Cristiana Lenoci

Blogger, redattrice web

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La competizione: ecco quando è positiva

2018-12-16 09:30:47

Nell’immaginario comune la competizione è sinonimo di sfida, gara, rivalità. Il vero significato della competizione è ben diverso, e per comprenderlo bisogna risalire all’origine della parola, la cui radice è comune ad un altro termine-concetto chiave: competenza. Essere competitivi non vuol dire fare meglio degli altri, ma dare il meglio di sé.

Le due dimensioni della Competizione

Competizione è la capacità di mettere in campo tutte le risorse che si hanno a disposizione (interne ed esterne) per affrontare una situazione. Non esiste competenza, intesa come il saper fare, che non si manifesti nella forma di una competizione, che è dunque, prima di tutto, una sfida con se stessi. Esistono due tipi di competizione: quella interiore, che ci spinge a fare sempre meglio, e quella esterna. La dimensione comparativa, di confronto con qualcuno, è secondaria, o dovrebbe esserlo. Invece, oggi ci troviamo di fronte ad un ribaltamento di queste dimensioni: viene valorizzato l’aspetto di esibizione, di performance comparata, a scapito della persona. Il valore di un individuo si misura sulla base di una prestazione, a cui viene attribuito un posto in classifica.

E’ chiaro che in un’ottica così non si presti più attenzione al miglioramento delle proprie capacità, ma si finisca per focalizzarsi solo sull’obiettivo. Oggi, con i mass media e i social, il processo di spersonalizzazione a favore della performance è ancora più accentuato. “Mors tua vita mea” sembra essere il motto prevalente nello sport, nel lavoro, nella vita in generale.

Ridare giusto valore alla competizione

Per recuperare lo “spirito sfidante” di cui parlano gli americani dobbiamo smettere di concentrarci sulla vittoria, sul successo finale. E’ per colpa di questo vizio mentale che, dopo una bocciatura, ci si sente così frustrati e non motivati a riprovarci. Se, invece, ci poniamo un obiettivo interiore e lavoriamo duramente per realizzarlo, a fine performance ci sentiremo comunque appagati e fieri di noi stessi, a prescindere dal risultato ottenuto.

L’esempio degli orientali

Dovremmo prendere esempio dagli orientali, che non parlano di competere, ma di “surpetere”, cioè vincere senza combattere, senza scontri né polemiche. Recuperare un orizzonte interiore, la consapevolezza che si sta facendo qualcosa di edificante per se stessi, significa affrontare un eventuale risultato negativo in modo diverso, ricavando dall’accaduto un’occasione di crescita e miglioramento personale.

Competizione sì, ma senza ansia

La competizione è un elemento necessario all’azione: si attiva nelle situazioni in cui si avverte una forte motivazione, determinata dalla piacevolezza, dalla passione, ma anche dall’attrazione per il difficile, un elemento necessario per mantenere alte sia l’attenzione che la concentrazione. Chi la vive come fonte di ansia dovrebbe cercare di frequentare ambienti nei quali è favorita l’espressione personale, la riflessione su se stessi, evitando quelli in cui l’attenzione per la performance è troppo alta. Come diceva il filosofo Aristotele, il bene individuale non è per forza contrario al bene comune: la competizione positiva, quella mirata al miglioramento di se stetti, si traduce in un beneficio dell’intera squadra, come dimostra l’esperienza di tanti sportivi in diverse discipline.