Arte & Intrattenimento
Fotografia - cerca il tuo stile
iunto alla giovane età di 35 anni ho voluto iniziare questo viaggio, scopro un mondo tutto nuovo e colmo di sensazioni, assieme a dei corsi di fotografia e a dei fotografi mi sono immerso in questo splendido viaggio. Spero di essere il conducente del momento.
FOTOGRAFARE È UN ATTO DI CONOSCENZA
Quando qualcuno mi chiede che macchina fotografica uso, mi picchietto la testa con un dito, sorrido e rispondo: “Questa”. La macchina da sola non fa niente. Nessuna attrezzatura costosa e nessuna tecnologia, per quanto avanzatissima, avranno mai il potere che ha lo sguardo, inteso come frutto del pensiero e del cuore. Lo sguardo ridisegna la realtà; la macchina fa soltanto clic, tanto quanto la penna, da sola, disegna semplicemente un tratto. La mia la uso come un arco: punto, inquadro e colpisco; ma sono io a decidere dove puntare, a scegliere cosa inquadrare, come e, soprattutto, perché. C’è poco da fare: scattare è una questione di pensiero. Bisogna fotografare quello che si pensa, non quello che si vede. Si scatta con la mente, non con le dita. Le immagini sono un’emanazione del fotografo, traducono in un linguaggio universalmente comprensibile la sua interpretazione del mondo. Con “immagini” non intendo le illustrazioni. Per quanto l’ennesima veduta di Venezia possa essere perfetta (con la luce giusta, il contrasto giusto, i colori giusti), rimarrà sterile e muta se il suo autore non è stato prima disposto a scendere nelle proprie viscere e a scoprire cosa, di sé, intende comunicare. Bando alle cartoline, sto parlando di fotografie, una forma d’arte. L’artista non ritrae la realtà: la possiede, la “violenta” per piegarla al suo pensiero. Interpretandola, crea un mondo. Voglio proporvi un esempio. Anni fa, alcuni amici sono andati in vacanza in Provenza. Al ritorno, mi hanno detto: “Franco, ci dovevi essere, abbiamo visto i tuoi paesaggi!”. I miei paesaggi? I paesaggi della Provenza c’erano ben prima di me e ci saranno dopo: perché li attribuivano proprio a me? Perché prima delle mie fotografie, evidentemente, nessuno li aveva mai interpretati in quel modo, nessuno aveva conferito loro quella specifica identità, e i miei amici non li avevano mai visti così. Questo significa che il paesaggio da solo “non esiste”. Il paesaggio non sa di esserci: è l’artista a testimoniarlo. Quando affermo che la fotografia è un atto di conoscenza, intendo proprio questo: l’artista, fotografando, inventa soggettivamente la sua realtà. Vladimir Majakovskij diceva: “L’arte non è lo specchio in cui riflettere il mondo, ma un martello per forgiarlo”. Se questo non accade, se nessuno impugna quel martello e forgia la realtà, la realtà non esiste. Come si verifica invece l’altro processo? Come, cioè, l’artista arriva a significare se stesso? Grazie a una particolare sinergia: solo annullandosi davanti al suo soggetto, dissolvendosi nella simbiosi con esso, il fotografo crea un’immagine significante, una foto di pensiero. Parlo di “foto di pensiero” con cognizione di causa, perché quello che finisce impresso nell’immagine non è un semplice ritratto bidimensionale di ciò che l’artista aveva davanti, ma una rappresentazione dell’artista stesso. Prendiamo una delle mie fotografie, quella scattata a Baia delle Zagare. È del 1970, avevo ancora qualche capello nero. In quel periodo andavo a caccia di foto con alcuni cari amici che purtroppo non ci sono più. Partivamo per un weekend, ci alzavamo all’alba e andavamo in giro fino al tramonto. A farci da guida in Puglia era Renzo Cambi, un modenese che abitava a Foggia da prima della guerra. Ciascuno ha poi visto le cose a suo modo, ma a condurci sui “luoghi del delitto” è stato lui. Secondo il New York Times, Baia delle Zagare è una delle coste più belle del mondo. È proprietà di un privato che negli anni Settanta, al tempo di questa fotografia, aveva appena aperto un albergo. Prima di scendere in spiaggia, ci siamo fermati su un balconcino. Eravamo in quattro ma, di fronte alla medesima materia prima, ciascuno di noi ha scattato in modo diverso. Cambi fece un paesaggio in bianco e nero. Era un fotoamatore pluridecorato: con i suoi paesaggi, tutti diversi dai miei, aveva vinto un sacco di premi. Gli altri hanno ripreso chi la donna in bikini sdraiata al sole, chi il faraglione davanti alla costa. Io ho scattato così. Ho trovato ciò che avevo dentro, togliendo il superfluo per leggere il necessario. Non ho fatto tante fotografie: solo una, e quell’una potevo farla solo io, perché mi apparteneva. Questa immagine è una delle icone del mio lavoro. Finì in un volume che riuniva i miei paesaggi, Skyline, uscito nel 1978 sia in Italia per Punto e Virgola, fondata da Luigi Ghirri, sia in Francia per Contrejour, guidata da Claude Nori. In Francia Skyline ebbe un notevole successo, tanto che venne ristampato a una sola settimana dall’uscita. Una funzionaria del ministero della Cultura francese vide la foto, mi chiamò per dirmi che, secondo lei, esprimeva perfettamente lo spirito del loro Paese, e mi chiese il permesso di utilizzarla su un manifesto per la diffusione del “pensiero francese”. Quel manifesto (insieme ad annessi e connessi, ricordo con sicurezza un catalogo) è stato distribuito in tutte le ambasciate e i consolati di Francia. Più avanti, la stessa foto è stata utilizzata anche sulla copertina di un libro di filosofia, A Companion to Environmental Philosophy di Dale Jamieson. Non è un caso che questo destino sia toccato proprio a quella foto. È stata scattata sul Gargano, ma non ritrae le coste pugliesi. È un archetipo, un paesaggio assoluto, slegato dalla verità geografica. A fare la differenza è il pensiero sotteso all’immagine: i francesi l’hanno capito e l’hanno scelta per rappresentare, guarda caso, proprio il loro “pensiero”. (Brano tratto dal libro di Franco Fontana, Fotografia creativa, Mondadori Editore)