Stefano Rossi

Top Founder President

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MUSICA - IL RE DEI "SORCINI" COMPIE 68 ANNI.

2018-09-30 14:37:06

"IL PASSAPAROLA É STATO IL MIO SEGRETO". MOLTA DELLA POPOLARITA' E DELL' AMOROSO CULTO DELLO ZERO, SONO UNA QUESTIONE "DI BASE", FUORI DAI MECCANISMI DELLA PROMOZIONE E DEI GRANDI MEDIA. NON RICORDA LA NASCITA DI CAM.TV?

La prima volta che ho sentito parlare di Renato Zero era il '73. Vigilia di Natale in cerca di svaghi romani. Nell'aria risuonano David Bowie, Roxy Music, il glitter rock. Qualche trafiletto sulle riviste parla di lui come della risposta italiana all'ultima vena "ambigua" della musica inglese. Canta in un clubbino. Ci si va? Un invito dell'ultim'ora fa saltare il primo contatto. «Peccato: quella sera suonai per una sola persona» commenta oggi Renato, accucciato in poltrona, in magnifica forma pre-tournée, total black e la solita voglia di parlare con dolcezza, ironia e molto orgoglio. «Ne venne solo uno. Ma col padrone del locale pretesi di suonare lo stesso. Dovevo lavorà. Il coraggio di ripresentarmi a casa non ce l'avevo. E peggio per te che non sei venuto. Il giorno dopo, 25 dicembre, quell'unico spettatore si ripresentò con altre 22 persone. Niente da fà: il passaparola è sempre stato il mio segreto. Quando mi dicono "i tuoi dischi non passano in radio", io rispondo: "Meglio, me porta bene". Il messaggio viaggia altrove. Porta a porta, direi».

Renato sa d'essere stato importante, per tanta gente. Tramandato di madre in figlia. «Il mio personaggio ha prosperato all'interno delle famiglie più coese» sottolinea. Si considera un patrimonio condiviso. Uno che ha lasciato il segno. Sebbene meno celebrato di altri: «Però che Bob Dylan abbia ricevuto il Nobel, m'ha riempito di gioia. Lui ci è servito molto» dice. «C'è chi pensa che la vita sia avere quattro lauree. Ma quelle quattro lauree raramente coronano una vera esperienza e la relativa maturazione. Ci vuole occhio e consapevolezza. Io nutro sempre meno fiducia in quelli col passaporto, e invece me l'intendo coi clandestini. Io stesso sono un clandestino, eppure mi so esprimere meglio di chi ha studiato alla Bocconi. Ho frequentato questo e quello, la coattitudine e i principi del foro – nel senso allegorico del termine. Dylan, Lennon, Cohen incarnano dei percorsi lungo i quali è nata la rivoluzione. Una rivoluzione che non ha fatto morti, ma che ha prodotto tanti testimoni».

Rispolvera i ricordi del Piper Club, fine Sessanta. Cos'era? Un consesso di talenti? Un posto speciale? «Pensa che il vero Piper di Roma, inteso come luogo dell'innovazione giovanile, durò solo cinque anni, durante i quali si sono prodotte tante magnificenze… C'era una scelta formidabile a cui attingere: Kerouac da una parte, Pasolini dall'altra, linguaggi, opzioni, dai Beach Boys ai Led Zeppelin… Si poteva spaziare. Oggi i computer hanno ucciso la complicità e la sudorazione collettiva di quando stai in una cantina a suonare. Quelle cose vanno fatte insieme, non possono essere soliloqui. Al Piper si mescolavano i ragazzi irregolari dei Parioli e quelli della periferia capaci di adattarsi. Dall'amalgama, è nato il fenomeno. Il Piper era un forte, dentro al quale sparivano il disagio e la solitudine. Anche quando non stavamo al Piper, noi eravamo il Piper: una condizione mentale. Una repubblica felice».

Ride di nuovo. «Io osservavo, i miei occhi erano macchine fotografiche.Facevo le mie valutazioni sulla musica come scelta di vita. Se vai al Titan e per una settimana ci suona Stevie Wonder… non c'è università che tenga. Così una sera mi ritrovo tra gli otto ballerini che introducono il concerto di Jimi Hendrix al Brancaccio». Si stava meglio, insomma. «Uscivo dal mio palazzo di via Fonte Buono, alla Montagnola, dove abitavano 136 poliziotti colleghi di mio padre. Le donnette commentavano. Sentivo il brusio. All'inizio andavo in giro con la sacchetta e mi cambiavo in un portone, poi ho detto: mica vado a rubà? E così uscivo già bello confezionato. Mio padre, poveraccio, ha subito dei bei liscio e busso. Ma poi ebbe la soddisfazione dei colleghi che gli chiedevano i biglietti per i miei concerti. Lui mostrava il suo e diceva: io pago».

Parliamo di musica. Nella scena musicale di oggi, dove lo mettiamo Renato Zero? «Sono fuori contesto, ancor'oggi. Già il nome annunciava la iattura: non sarei appartenuto a nessuna scuola. Non mi dispiace, ho il mio orto e le mie canzoni le posso cantare solo io. Però peccato: così i bollettini Siae non rendono». Da Renato si può prendere la lezione di come si fa: disciplina, tenacia e cura. «Mi vengono riconosciute. È un risultato, al di là delle classifiche. Sto coi giovani e non sfiguro, piuttosto li affianco. Hanno dei limiti, ma di esempi bastardi ne hanno avuti tanti. A Fonopoli volevo aiutarli ad evolversi». Era il suo regalo ai ragazzi di oggi. «Lo è ancora: non ho mollato. Lo farò, anche solo coi miei mezzi. Prima di sparire dalla circolazione, voglio che quello che ho guadagnato sia reinvestito per creare questa piattaforma». In Americala chiamano filantropia, logica del restituire. Poco italiana. «Chi ha faticato e s'è impegnato» conclude lui, «chi è stato applaudito e riconosciuto, chi ha firmato tanti autografi, deve sentirsi obbligato a farlo».

CHI HA VOGLIA DI CANTARE ECCO IL TESTO DI "CERCAMI".

Cercami

Come quando e dove vuoi

CercamiÈ più facile che mai

Cercami

Non soltanto nel bisogno

Tu cercami

Con la volontà e l'impegno reinventami

Se mi vuoi

Allora cercami di più

Tornerò

Solo se ritorni tu

Sono stato invadente

Eccessivo lo so

Il pagliaccio di sempre

Anche quello era amore però

Questa vita ci ha puniti già

Troppe quelle verità

Che ci son rimaste dentro

Oggi che fatica che si fa

Come è finta l'allegria

Quanto amaro disincanto

Io sono qui

Insultami, feriscimi

Sono così

Tu prendimi o cancellami

Adesso si

Tu mi dirai che uomo mai ti aspetti

Io mi berrò

L'insicurezza che mi dai

L'anima mia

Farò tacere pure lei

Se mai vivrò

Di questa clandestinità per sempre

Fidati

Che hanno un peso gli anni miei

Fidati

E sorprese non avrai

Sono quello che vediIo pretese non ho

Se davvero mi credi

Di cercarmi non smettere no

Questa vita ci ha puniti già

L'insoddisfazione è qua

Ci ha raggiunti facilmente

Così poco abili anche noi

A non dubitare mai

Di una libertà indecente

Io sono qui

Ti servirò ti basterò

Non resterò

Una riserva, questo no

Dopo di che

Quale altra alternativa può salvarci

Io resto qui

Mettendo a rischio i giorni miei

Scomodo si

Perché non so tacere mai

Adesso sai

Senza un movente non vivrei comunque

Cercami cercami non smettere