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MUSICA - IL RE DEI "SORCINI" COMPIE 68 ANNI.
"IL PASSAPAROLA É STATO IL MIO SEGRETO". MOLTA DELLA POPOLARITA' E DELL' AMOROSO CULTO DELLO ZERO, SONO UNA QUESTIONE "DI BASE", FUORI DAI MECCANISMI DELLA PROMOZIONE E DEI GRANDI MEDIA. NON RICORDA LA NASCITA DI CAM.TV?
La prima volta che ho sentito parlare di Renato Zero era il '73. Vigilia di Natale in cerca di svaghi romani. Nell'aria risuonano David Bowie, Roxy Music, il glitter rock. Qualche trafiletto sulle riviste parla di lui come della risposta italiana all'ultima vena "ambigua" della musica inglese. Canta in un clubbino. Ci si va? Un invito dell'ultim'ora fa saltare il primo contatto. «Peccato: quella sera suonai per una sola persona» commenta oggi Renato, accucciato in poltrona, in magnifica forma pre-tournée, total black e la solita voglia di parlare con dolcezza, ironia e molto orgoglio. «Ne venne solo uno. Ma col padrone del locale pretesi di suonare lo stesso. Dovevo lavorà. Il coraggio di ripresentarmi a casa non ce l'avevo. E peggio per te che non sei venuto. Il giorno dopo, 25 dicembre, quell'unico spettatore si ripresentò con altre 22 persone. Niente da fà: il passaparola è sempre stato il mio segreto. Quando mi dicono "i tuoi dischi non passano in radio", io rispondo: "Meglio, me porta bene". Il messaggio viaggia altrove. Porta a porta, direi».
Renato sa d'essere stato importante, per tanta gente. Tramandato di madre in figlia. «Il mio personaggio ha prosperato all'interno delle famiglie più coese» sottolinea. Si considera un patrimonio condiviso. Uno che ha lasciato il segno. Sebbene meno celebrato di altri: «Però che Bob Dylan abbia ricevuto il Nobel, m'ha riempito di gioia. Lui ci è servito molto» dice. «C'è chi pensa che la vita sia avere quattro lauree. Ma quelle quattro lauree raramente coronano una vera esperienza e la relativa maturazione. Ci vuole occhio e consapevolezza. Io nutro sempre meno fiducia in quelli col passaporto, e invece me l'intendo coi clandestini. Io stesso sono un clandestino, eppure mi so esprimere meglio di chi ha studiato alla Bocconi. Ho frequentato questo e quello, la coattitudine e i principi del foro – nel senso allegorico del termine. Dylan, Lennon, Cohen incarnano dei percorsi lungo i quali è nata la rivoluzione. Una rivoluzione che non ha fatto morti, ma che ha prodotto tanti testimoni».
Rispolvera i ricordi del Piper Club, fine Sessanta. Cos'era? Un consesso di talenti? Un posto speciale? «Pensa che il vero Piper di Roma, inteso come luogo dell'innovazione giovanile, durò solo cinque anni, durante i quali si sono prodotte tante magnificenze… C'era una scelta formidabile a cui attingere: Kerouac da una parte, Pasolini dall'altra, linguaggi, opzioni, dai Beach Boys ai Led Zeppelin… Si poteva spaziare. Oggi i computer hanno ucciso la complicità e la sudorazione collettiva di quando stai in una cantina a suonare. Quelle cose vanno fatte insieme, non possono essere soliloqui. Al Piper si mescolavano i ragazzi irregolari dei Parioli e quelli della periferia capaci di adattarsi. Dall'amalgama, è nato il fenomeno. Il Piper era un forte, dentro al quale sparivano il disagio e la solitudine. Anche quando non stavamo al Piper, noi eravamo il Piper: una condizione mentale. Una repubblica felice».
Ride di nuovo. «Io osservavo, i miei occhi erano macchine fotografiche.Facevo le mie valutazioni sulla musica come scelta di vita. Se vai al Titan e per una settimana ci suona Stevie Wonder… non c'è università che tenga. Così una sera mi ritrovo tra gli otto ballerini che introducono il concerto di Jimi Hendrix al Brancaccio». Si stava meglio, insomma. «Uscivo dal mio palazzo di via Fonte Buono, alla Montagnola, dove abitavano 136 poliziotti colleghi di mio padre. Le donnette commentavano. Sentivo il brusio. All'inizio andavo in giro con la sacchetta e mi cambiavo in un portone, poi ho detto: mica vado a rubà? E così uscivo già bello confezionato. Mio padre, poveraccio, ha subito dei bei liscio e busso. Ma poi ebbe la soddisfazione dei colleghi che gli chiedevano i biglietti per i miei concerti. Lui mostrava il suo e diceva: io pago».
Parliamo di musica. Nella scena musicale di oggi, dove lo mettiamo Renato Zero? «Sono fuori contesto, ancor'oggi. Già il nome annunciava la iattura: non sarei appartenuto a nessuna scuola. Non mi dispiace, ho il mio orto e le mie canzoni le posso cantare solo io. Però peccato: così i bollettini Siae non rendono». Da Renato si può prendere la lezione di come si fa: disciplina, tenacia e cura. «Mi vengono riconosciute. È un risultato, al di là delle classifiche. Sto coi giovani e non sfiguro, piuttosto li affianco. Hanno dei limiti, ma di esempi bastardi ne hanno avuti tanti. A Fonopoli volevo aiutarli ad evolversi». Era il suo regalo ai ragazzi di oggi. «Lo è ancora: non ho mollato. Lo farò, anche solo coi miei mezzi. Prima di sparire dalla circolazione, voglio che quello che ho guadagnato sia reinvestito per creare questa piattaforma». In Americala chiamano filantropia, logica del restituire. Poco italiana. «Chi ha faticato e s'è impegnato» conclude lui, «chi è stato applaudito e riconosciuto, chi ha firmato tanti autografi, deve sentirsi obbligato a farlo».
CHI HA VOGLIA DI CANTARE ECCO IL TESTO DI "CERCAMI".
Cercami
Come quando e dove vuoi
CercamiÈ più facile che mai
Cercami
Non soltanto nel bisogno
Tu cercami
Con la volontà e l'impegno reinventami
Se mi vuoi
Allora cercami di più
Tornerò
Solo se ritorni tu
Sono stato invadente
Eccessivo lo so
Il pagliaccio di sempre
Anche quello era amore però
Questa vita ci ha puniti già
Troppe quelle verità
Che ci son rimaste dentro
Oggi che fatica che si fa
Come è finta l'allegria
Quanto amaro disincanto
Io sono qui
Insultami, feriscimi
Sono così
Tu prendimi o cancellami
Adesso si
Tu mi dirai che uomo mai ti aspetti
Io mi berrò
L'insicurezza che mi dai
L'anima mia
Farò tacere pure lei
Se mai vivrò
Di questa clandestinità per sempre
Fidati
Che hanno un peso gli anni miei
Fidati
E sorprese non avrai
Sono quello che vediIo pretese non ho
Se davvero mi credi
Di cercarmi non smettere no
Questa vita ci ha puniti già
L'insoddisfazione è qua
Ci ha raggiunti facilmente
Così poco abili anche noi
A non dubitare mai
Di una libertà indecente
Io sono qui
Ti servirò ti basterò
Non resterò
Una riserva, questo no
Dopo di che
Quale altra alternativa può salvarci
Io resto qui
Mettendo a rischio i giorni miei
Scomodo si
Perché non so tacere mai
Adesso sai
Senza un movente non vivrei comunque
Cercami cercami non smettere