Stefano Rossi

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MUSICA - 22 NOVEMBRE, GIORNATA IMPORTANTE PER IL "BOLERO" DI MAURICE RAVEL

2018-11-22 19:56:48

ESATTAMENTE 90 ANNI FA DEBUTTA ALL' OPERA DI PARIGI, NEL 2007 MUORE IL COREOGRAFO DEL BALLETTO MAURICE BEJART.

LA STORIA DELLA NASCITA

Nel 1927 la celebre ballerina Ida Rubinstein, chiese a Ravel di comporre per lei un balletto di ambiente spagnolo. Ravel scelse un bolero, attratto dall'ossessività ritmica e dalla semplicità melodica di questa nota danza spagnola che, nata nel '700, si era rapidamente diffusa in Europa, destando l'interesse, fra gli altri, di Beethoven, Weber, Chopin, Berlioz, Auber e Verdi. La danza e la Spagna, quindi, dopo la Rhapsodie Espagnole (1907), L'Heure Espagnole (1911) e Alborada del Gracioso (1923), si ritrovavano ancora una volta insieme in Ravel, a testimonianza di un ininterrotto interesse del compositore nei confronti del folclore musicale iberico.

UN BRANO CARICO DI FASCINO E MISTERO

Il Bolero andò in scena all'Opéra di Parigi il 22 novembre 1928, con Walter Straram sul podio e coreografie di Bronislava Nijinska, ottenendo, fin dalla sua prima rappresentazione, un clamoroso successo in virtù della sconcertante e provocatoria originalità sia della musica sia dell'invenzione coreografica: una donna danza su un tavolo, attorniata da un gruppo di uomini che gradualmente le si avvicinano in una sorta di ballo rituale carico di spiccato erotismo (successivamente se ne sono avute altre letture, anche molto diverse fra loro: si citano quella di Maurice Béjart, che attribuì la parte principale ad un danzatore, e quella "metafisica" di Aurél Milloss, nella quale un demone s'impossessa di un gruppo di avventori presenti in una sordida taverna). Il brano, quindi, fu eseguito sotto la direzione dell'autore ai Concerts Lamoureux (una delle più prestigiose istituzioni concertistiche parigine) l'11 gennaio 1930 senza perdere nulla del suo fascino misterioso, imponendosi immediatamente come una delle pagine più fortunate della letteratura orchestrale del XX secolo.

LA STRUTTURA DEL BRANO

Un unico tema suddiviso in due frasi distinte di 16 battute ciascuna - l'una in DO maggiore, l'altra nel più morbido DO minore - ed un unico ritmo di bolero in tempo assai moderato sono i soli elementi sui quali l'autore costruisce la sua celebre danza, la cui allucinante fissità è ribadita sul piano armonico dalla mancanza pressoché totale di modulazioni (i bassi si limitano a due sole note, DO e SOL, gradi principali della scala di DO). La partitura prende via via vita, definendosi nel contempo nella sua stessa forma musicale, nel lento ma graduale crescendo dinamico e nel costante arricchimento della "tavolozza" orchestrale che si distribuisce ora sul motivo conduttore - ripetuto 18 volte - ora sugli assetti ritmici. Il tema, presentato in pianissimo dal flauto solo sull'accompagnamento del tamburo, viene ripreso prima da singoli strumenti (clarinetto, fagotto, clarinetto piccolo e corno inglese) poi da gruppi strumentali dagli impasti timbrici sempre più complessi e raffinati, fino a coinvolgere l'intera compagine orchestrale. Una sferzante ed inaspettata modulazione alla tonalità di MI maggiore (assai lontana a quella di DO) segna il culmine della tensione emotiva determinata dall'inesorabile e meccanica amplificazione della materia sonora. L'escursione armonica è però di breve durata: il DO maggiore iniziale riappare dopo solo otto battute, in un roboante finale segnato dagli orgiastici glissandi dei tromboni.

ECCO L' OSTINATO RITMICO SU CUI SI BASA TUTTO IL BRANO

LA PRIMA FRASE IN DO MAGGIORE

LA SECONDA FRASE IN DO MINORE

ED È TUTTO, ECCO LA PRIMA PARTE DEL BRANO

POCHI MEZZI UN GRANDE COINVOLGIMENTO

Uno degli aspetti che maggiormente colpisce del Bolero di Ravel, ed ancora stupisce a novant'anni dalla sua prima rappresentazione, è la forza del coinvolgimento emotivo - quasi fisicamente tangibile - che esso suscita nello spettatore, contrapposto all'estrema semplicità dei mezzi musicali impiegati.