Stefano Rossi

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MUSICA - 22/10/1921, NASCE IL POETA, AUTORE E CANTANTE FRANCESE GEORGES BRASSENS.

2018-10-22 17:37:28

FABRIZIO DE ANDRÉ E NANNI SVAMPA SONO SOLO DUE TRA I CANTANTI ITALIANI DEVOTI AL GRANDE AUTORE FRANCESE.

BRASSENS, IL BURBERO MAESTRO DI TUTTI I CANTAUTORI

Si può dire che quest'uomo massiccio e timido ha come pochi sedotto la Francia degli intellettuali e quella popolare, col suo anticonformismo non di maniera, con le sue storie di puttane, ladruncoli, becchini, papponi, disoccupati, tipi che fan fatica a mettere insieme pranzo e cena. E di contro i benpensanti, la trinità giudici-poliziotti-preti, la morale pronta, l'ordine costituito. 
Queste ultime righe potrebbero valere anche per Fabrizio De André, che indicava Brassens come un maestro, ma non volle mai incontrarlo per timore di andare a sbattere contro un carattere burbero. Nanni Svampa, ottimo traduttore-inteprete in dialetto milanese di molte canzoni di Brassens, invece lo incontrò e lo trovò molto cortese. Anche perché Elvira, la madre di Georges, era di origine italiana, Marsico Nuovo, in Lucania. Vedova di guerra, con una figlia, Simone, si era risposata con Jean-Louis Brassens, muratore, e il 22 ottobre del '21 era nato Georges. "Sono cresciuto in mezzo alla musica. Cantava mia madre, canzoni napoletane, e di quelle francesi trascriveva i testi e li imparava a memoria. Cantava mio padre, sul lavoro. A cinque anni sapevo già duecentocinquanta canzoni".

I suoi idoli erano Tino Rossi e il più jazzato Charles Trenet. D'altra parte anche Yves Montand sognava di diventare come Fred Astaire. Poi è la vita che sceglie e nella vita di Brassens ci sono almeno due svolte fondamentali. A scuola, il voto più alto l'aveva in educazione fisica, ma al liceo il professor Bonnafé fa innamorare Brassens della poesia: Villon e poi Hugo, Rimbaud, Verlaine. Brassens comincia a scrivere poesie. Ma, in seguito a una condanna a quindici giorni di carcere con la condizionale perché coinvolto di striscio in una serie di furtarelli, storia narrata in una canzone (Les quatre bacheliers), migra nel '40 a Parigi, e passa dal mandolino suonato a Sète al pianoforte. Lavora alla Renault, collabora alla rivista anarchica Le monde libertaire con pseudonimi bizzarri (Jo Cédille, Pépin Cadavre). Nel '43 finisce al campo di Basdorf, vicino a Berlino: servizio di lavoro obbligatorio. Nella baracca, svegliandosi prima degli altri, scrive canzoni come Pauvre Martin e Brave Margot. Nel '44, in licenza per quindici giorni, si nasconde al 9 di Impasse Florimont, nel quattordicesimo arrondissement. Ci resterà fino al '66. La coppia che lo ospita è formata da Jeanne (La cane de Jeanne) e Marcel Planche (Chanson pur l'auvergnat). Tra topini bianchi, gatti neri, pesci rossi e un pappagallo verde, e rigorosamente niente donne (Jeanne è categorica) Brassens è a suo agio. La donna della sua vita l'ha incontrata nel '47, in métro: Joha Heiman, estone, divorziata, nata dieci anni prima di lui. La chiamerà Puppchen, bambolina. Staranno sempre insieme ma in appartamenti diversi. 

"LO SI PUÒ CONSIDERARE IL PADRE DI TUTTI GLI CHANSONNIER" AFFERMA IL GIORNALISTA GIANNI MURA.

Dell'esperienza tedesca a Brassens rimane un amico, Pierre Onteniente, da Brassens ribattezzato Gibraltar perché è forte come una roccia. A Brassens dei soldi non importa nulla, delega Onteniente. Che gli metterà all'inizio di ogni settimana un po' di soldi in un vaso. Quando finiranno, in due giorni o in un mese, Georges gliene chiederà altri. Si vantava di non essere mai entrato in una banca e diceva di essere così anarchico da attraversare regolarmente sulle strisce pedonali, pur di non dover questionare coi flic. In realtà, il Maggio non lo vede sulle barricate (è in ospedale a farsi curare i calcoli) ma per i circoli anarchici si esibirà sempre gratis.

Seconda svolta. È Patachou, cantante e proprietaria di un cabaret, a imporlo nel mondo della canzone, dove Brassens si presenta a trentun anni. Patachou lo spinge letteralmente sul palcoscenico e gli dice: "Tra un anno sarai più famoso di me". È il '52. Nell'ottobre '53 Brassens ha già fatto saltare il banco e conquistato Parigi, dal palco dell'Olympia, e la Francia. Pure, è l'antidivo: non "vive" le sue canzoni come Brel, non ha l'aspetto profetico di Ferré, non gesticola, non mima. Entra in scena con la chitarra tenuta come una zappa, lo accompagna solo un contrabbasso e sarà così fino all'ultimo. Una chitarra aggiunta, solo per i dischi. Anche oggi molti trovano "troppo facile, i soliti tre accordi" la sua musica. Sui testi, chapeau: grande abilità metrica, sapiente alternanza del ricordo classico e della parolaccia da strada, un vero esprit gaulois. Lo si può considerare il padre di tutti gli chansonnier con chitarra e, soprattutto, il cantore dell'amicizia, che con la morte e più dell'amore caratterizza le sue canzoni. Perfetto per l'Olimpya e per un tavola d'osteria. Questo è Brassens: grandemente semplice e semplicemente grande.