Simone Sala

Founder President

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GUIDA AL LAMBRUSCO: breve storia di un lungo passato

2018-12-13 16:46:22

VINIFICATORI E SERBATOI DI STOCCAGGIO (stabilimento Riunite & CIV di Carpi). Spesso quando si parla di Lambrusco, alla mente sovviene sempre l’immagine di un vino “frizzantino” di poca importanza. Un’idea non completamente esatta...

Il Lambrusco, infatti, è da considerarsi uno dei vini più antichi. Come lo stesso nome suggerisce, proviene dalla linea genealogica delle viti selvatiche. I Romani la chiamavano labrusca dal latino “labrum”, orlo, margine, e “ruscum”, selvatica. Adottarono questo termine per indicare il suo crescere spontaneo nei perimetri dei campi evidenziando così il lato selvatico della pianta. I primi vini della storia dell’uomo sono stati fatti con queste uve e con quelle che oggi definiamo viti “non addomesticate”. Infatti, se pensate di essere stati i primi a bere vino Lambrusco vi sbagliate. Reperti archeologici rinvenuti in vari siti nel mondo e ritrovamenti di semi di vite ci raccontano dell’arte del vino fin dai tempi degli egizi, dei sumeri e di popolazioni ancora più antiche. In Egitto, tavole in creta riportano di come catalogassero ceppi di vite e varietà di vino alla maniera di una guida odierna.

I Romani bevevano l’antenato del Lambrusco perfino in versione frizzante. Lo facevano attraverso una rifermentazione in anfora. Dopo averle riempite e ben tappate, ponevano le anfore sotto terra o immerse per metà in acqua gelata, in modo da tenere bassa la temperatura del vino contenuto. Quando volevano fare il “frizzantino”, lo mettevano in una condizione termica di maggiore temperatura e dopo qualche giorno bevevano vino frizzante.

A proposito di ritrovamenti archeologici, nella zona di Modena sono stati ritrovati molti di questi semi testimoni di un’importante produzione di vino con riferimenti a datazioni storiche divise per epoche. È chiaro che a Modena la vite labrusca trovò un’ottima adattabilità e grande attenzione da parte delle persone che abitavano in quelle zone. La storia lo conferma.

Matilde di Canossa, regina di quelle terre ed eroina dell’epoca, sui territori conquistati dava sempre impulso alla coltura della vite perché consapevole dei vantaggi economici. Modena era il fulcro della produzione del lambrusco. Carteggi commerciali del 1850 raccontano di come il vino partisse da qui per raggiungere anche la Francia. Il cuore pulsante era Carpi e una sua frazione oggi attribuisce il nome a una delle denominazioni più famose: “Santacroce”.  Questa zona era considerata la più preziosa per qualità, e qui si usava allevare la vite sui pali quando ancora nei paesi vicini la “maritavano” agli alberi. Ciò che ha contribuito nel modenese allo sviluppo del lambrusco è stato, oltre all’ottimo adattamento della pianta, l’interesse della gente per questa tipologia di vino. Nel ‘900, infatti, c’era l’esigenza di dare ai braccianti, che andavano a lavorare tutti i giorni, una bottiglia di vino perché considerato nutrimento necessario al pari del pane. Questo creava l’esigenza di una produzione elevata di vino fresco e leggero.

Il Lambrusco era in grado di soddisfare queste pretese. Quando si vinificava, si divideva la prima spremitura, il “mosto fiore”, dalla seconda. Quest’ultima, oggi detto torchiato, era conosciuta col nome di “sottile” o “puntalone” e una volta tagliata con acqua era dato ai braccianti. Questo permetteva di avere maggiori scorte e di rendere piacevole e meno alcolico un vino torchiato.

A proposito di “cru”, termine usato per indicare vini di particolare qualità, possiamo affermare, anche in maniera provocatoria, che il Lambrusco di Sorbara ha le caratteristiche che solo in questa zona, tra il fiume Secchia e Panaro dove i terreni alluvionali sono ricchi di potassio, danno origine ad un lambrusco originale dal colore scarico, sapido, dall’aroma di ciliegia e amarena e dove spicca un particolare profumo di viola che gli dà l’epiteto di “lambrusco della viola”. La stessa vigna a cinquanta chilometri dalla suddetta zona non sarà più un “cru” ma un altro tipo di lambrusco.

Questo “rosso con le bolle”, inoltre, non è solo patrocinio di Modena o Reggio. Esiste il lambrusco di Parma, Cremona, Mantova, Bologna e perfino in Trentino se ne vinificano le uve. Solo che qui l’hanno ribattezzato “Enantio” che altro non è che il “Lambrusco a Foglia frastagliata” protagonista di alcune importanti DOC della zona trentina. Le tipologie di Lambrusco sono tante. “Viadanese”, “Foglia frastagliata”, “Monterico”, “Marani”, “Oliva”, “Barghi” sono alcuni dei tanti ma di solito i più conosciuti sono il “Grasparossa”, il “Sorbara” e il “Salamino”.

Il primo, così chiamato per l’evidente colorazione assunta in autunno, si distingue per struttura e pienezza di corpo; Il “Sorbara”, il più raffinato, prende il nome dall’omonimo paese in provincia di Modena e, infine, il salamino così chiamato per la forma allungata e sottile dei grappoli che ricordano, appunto, una specie di salamino. Se vi capita di bere Lambrusco, non vergognatevi, anzi, approfondite e ricordatevi che nel calice avete un pezzo di storia.

Il Lambrusco si presta per gli abbinamenti più disparati. Dissetante contro la calura estiva e perfetto come aperitivo, dà soddisfazione quando accompagnato a salumi, bolliti, insalate elaborate, paste al forno, formaggi freschi e leggeri o stagionati ma anche a pesce alla griglia e zuppe. Il vantaggio di questo vino è la disponibilità sulla tavola e la capacità di adattamento. Un “Gasparossa" è più adatto a piatti di carne, formaggi invecchiati e paste elaborate per via della sua naturale forza tannica mentre un “Sorbara" è perfetto per piatti di pesce, salumi o formaggi freschi.

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