Felicia non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Manzella; il contrasto con il marito si acuirà quando Peppino, il primogenito della coppia, inizierà la sua attività politica. Per quindici anni, dall’inizio dell’attività di Peppino fino alla morte di Luigi, avvenuta nel settembre del 1977, otto mesi prima dell’assassinio del figlio, la vita di Felicia è una continua lotta, che però non riesce a piegarla. In quegli anni non ha più soltanto il problema delle amicizie del marito. Ora c’è da difendere il figlio che denuncia potenti locali e mafiosi e rompe con il padre, impegnandosi nell’attività politica in formazioni della sinistra assieme a un gruppo di giovani che saranno con lui fino all’ultimo giorno. Felicia difende il figlio contro il marito che lo ha cacciato di casa, ma cerca anche di difendere Peppino da se stesso.
«...fece un giornalino e ci mise che la mafia era merda. Quando l’ho saputo io, salgo sopra e vedo... E dissi: “E dai, Giuseppe figlio, io ti do qualunque cosa se tu mi consegni quel giornalino. Tu non lo devi pubblicare quel giornale”...Andavo da tutti... dicendo di non presentare quel giornalino».
Dopo la morte di Peppino, davanti ai resti del figlio, decide di rigettare ogni idea di vendetta e si apre al modo di essere del figlio. La sua è una lotta fatta di parole, di richiesta di giustizia, di denuncia, portata avanti con determinazione: «Ogni volta che vengono giornalisti, io parlo di mio figlio perché tutti devono sapere». In questo modo Felicia continua la rivoluzione del figlio. È la seconda donna a costituirsi parte civile in un processo di mafia, dopo Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, riuscendo ad ottenere giustizia e a vedere condannati i mandanti dell’omicidio del figlio. Muore il 7 dicembre del 2004.