La diffusione del Covid-19 ha prodotto una problematica collaterale non di poco conto, ovvero la presenza delle mascherine monouso difficilmente riciclabili. Se abbandonate nell’ambiente possono impiegare anche 450 anni a decomporsi, un’enormità preoccupate. Intaccando gli ecosistemi con la loro presenza, in particolare se non adeguatamente stoccate o gettate nell’immondizia.
Tanto da trasformarsi in parte attiva dei rifiuti che drammaticamente ogni anno finiscono in mare, interferendo con l’esistenza degli abitanti marini. Molti rimangono imprigionati all’interno delle stesse mascherine altri li scambiano per meduse finendo per inghiottirle, aumentando così la quantità di microplastiche nei nostri piatti.
L’idea vincente di riciclo della RMIT University potrebbe cambiare le sorti del Pianeta grazie a questa nuova tipologia di asfalto, composto da mascherine triturate e macerie di calcestruzzo demolito.
La sperimentazione è ancora in corso ed è portata avanti dal miglior polo universitario australiano di arte e design, che ha così verificato l’efficacia del singolare mix in grado di rendere il manto stradale più elastico e resistente agli agenti esterni quali acqua e acidi. Lo studio verrà pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment. Queste le parole di Mohammad Saberian, autore della sperimentazione:
Questo studio iniziale ha esaminato la fattibilità del riciclaggio di maschere facciali monouso nelle strade e siamo stati entusiasti di scoprire che non solo funziona, ma offre anche vantaggi ingegneristici reali.
Ci auguriamo che questo apra la porta per ulteriori ricerche, per elaborare modi di gestire i rischi per la salute e la sicurezza su larga scala e indagare se altri tipi di DPI [dispositivi di protezione individuale] siano adatti al riciclaggio.
fonte greenstyle