Rosa Borgia

Arte & Intrattenimento

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Economia carceraria e sostenibilità

2019-12-19 22:09:26

In questo articolo voglio parlarvi di economia sostenibile e credo che quella descritta sia una buona pratica da condividere per le implicazioni che comporta e le riflessioni che induce. Personalmente avevo visto un esperimento simile in Spagna dove attraverso un progetto ad hoc dei detenuti si...

riabilitavano e imparavano un mestiere che poi avrebbero continuato a svolgere una volta scontata la pena.

In via Eurialo 22, nel cuore dell’Alberone, quartiere romano che si sviluppa tra l’Appia e la Tuscolana, due tra le più importanti e trafficate vie consolari della Capitale, vive una realtà che con costanza e dedizione ha dato vita a un importante progetto di carattere sociale: Vale La Pena Pub & Shop.

Nato per volere di Paolo Strano, fondatore di Semi di Libertà Onlus, associazione votata al reinserimento nel mondo lavorativo degli ex detenuti o ancora in libertà vigilata, Vale la Pena Pub e Shop è il primo esercizio fisico in Italia basato interamente sull’economia carceraria.


A raccontarci il progetto e la sua evoluzione negli anni che ha forti connotazioni sostenibili e a basso impatto ambientale sono i tre gestori attuali: Veronica, giornalista professionista specializzata in comunicazione istituzionale, che collabora in qualità di volontaria, Oscar fondatore di Economia Carceraria ed ex volontario della Onlus e Massimo, responsabile della cucina.

Tre anime con passato, background e formazione differenti ma tutte accomunate da un unico obiettivo: combattere la recidiva di chi torna in libertà ma non ha reali strumenti per un corretto reinserimento nella società, in primis un impiego regolare. A oggi i dati che i tre gestori comunicano sono impressionanti: solo il 30% degli ex detenuti può davvero considerarsi tale e ricominciare a vivere, il rischio di recidiva e di ritorno a commettere illeciti è davvero molto elevato.


Percentuale destinata ad aumentare se già durante il periodo di reclusione viene insegnato a chi sconta la pena un mestiere e la relativa etica che ne deriva, quasi a voler confermare l’antico detto che il lavoro nobilita l’uomo. Non può essere altrimenti dal momento che l’articolo 1 della nostra Costituzione (e le magliette che i ragazzi vendono nel pub) recita a chiare lettere che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, fondamento che, però spesso, tendiamo a dimenticare. L’economia carceraria e Vale La Pena Pub & Shop fanno bene, quindi, per più di un motivo: in primis permettono al detenuto di imparare una professione che diverrà il suo punto di forza una volta che tornerà in libertà. Molti di loro continuano a lavorare nelle cooperative che hanno investito nel progetto ma tanti altri vanno avanti per la propria strada, potendo contare su un know-how che diventerà un asset su cui puntare.

Come logica conseguenza la possibilità di recidiva si abbatte e si immette nella società una forza lavoro pulita, regolare e in grado di pagare le tasse facendone beneficiare la società intera. Forse non tutti sanno che il costo sostenuto dai cittadini per le carceri si riferisce solo allo stabile e al personale, mentre è il detenuto che deve far fronte alle  spese quotidiane per la propria permanenza in galera. Quando si esce, prima o poi, bisogna pagare le spese di mantenimento, emesse con una cartella esattoriale da Equitalia Giustizia. E nel caso in cui non si lavori durante la propria detenzione, cosa succede? Difficoltà o resistenza nel trovare un lavoro regolare, perché in automatico scatta una trattenuta sullo stipendio e, soprattutto, la possibilità di tornare a vecchi schemi mentali e modus operandi che, nella maggior parte dei casi, lo riporteranno a delinquere. Come sottolinea Veronica: non tutti, a prescindere, sono propensi e pronti a mettersi in discussione e nel pub viene data una possibilità solo a chi ha davvero voglia di lavorare con impegno e determinazione.

Insomma l’esser stati detenuti non è né un valore aggiunto né una diminutio; ciò che conta è solo chi si vuole essere e cosa si vuole fare della propria vita. Anche perché le produzioni che hanno il marchio di Economia Carceraria sono quasi tutte legate al cibo e si basano sull’utilizzo di materie prime eccellenti che richiedono cura, perizia e pazienza, giocando per quest’ultima caratteristica sul concetto di tempo che in carcere assume un altro significato. Tutto ciò fa sì che vi sia un’attenzione spasmodica al particolare e alla perfetta integrità del prodotto finale, privilegiando la filiera corta e una modalità di lavoro assolutamente artigianale anche per un limite stesso imposto dalla legge di far entrare macchinari in carcere che impedirebbero la partenza del progetto. La salubrità dei prodotti e la relativa artigianalità è testimoniata dall’etichetta stessa, che contiene solo ingredienti naturali e scadenze brevi (3, 9 e 12 mesi; con l’eccezione dei 24 mesi per caffè e tisane) a riprova del fatto che è bandito ogni tipo di conservante e che è salvaguardato tutto il processo di sostenibilità e filiera breve. A seconda della regione aderente al progetto di economia carceraria, l’ingrediente protagonista cambia  facendo della località di origine il punto di forza e il proprio vessillo alimentare: grissini a Torino, taralli a Trani, frutta secca e biscotti alle arance in Sicilia.