Passione Birra

Cibi & Bevande

La schiuma della Birra

2019-05-07 12:00:47

Perché si forma e perché è necessaria

Il detto “anche l’occhio vuole la sua parte” è valido in tantissimi aspetti della vita quotidiana e ha una sua preminenza anche nel mondo della birra. 


Prendete la valutazione di un giudice: chiaramente si concentrerà sulle caratteristiche olfattive e gustative, ma non potrà non dare il giusto peso anche alla parte estetica del prodotto. 

E se parliamo di analisi visiva, uno degli aspetti più importanti è quello relativo alla schiuma, che deve rispettare dei criteri ben precisi. 


La schiuma è probabilmente uno dei caratteri più distintivi e affascinanti della birra, capace di distinguerla da tutte le altre bevande alcoliche, nonché uno dei più sottovalutati. 

Per questa ragione il post di oggi è dedicato a questo segno distintivo, un elemento in grado di ammaliare ed estasiare prima ancora della bevuta.

La schiuma consiste in uno strato di piccole bollicine che sovrastano la birra: una sorta di “cappello” generato per effetto dell’agitazione della bevanda. 

Nella birra, infatti, è dissolta (in una condizione di equilibrio dettata dalla pressione e dalla temperatura) una certa quantità di anidride carbonica che si forma durante la fermentazione del mosto di malto. 


Quando si va a modificare questo equilibrio, con la spillatura o con la mescita dalla bottiglia nel bicchiere, l’anidride carbonica si libera e crea bollicine gassose che salgono verso l’alto, portando con sé le proteine del malto, gli aromi floreali del luppolo e quelli fruttati della fermentazione. 

È così che si genera la schiuma.


Oltre che dalle resine del luppolo e dall'anidride carbonica, la schiuma è costituita essenzialmente dalle proteine del malto

Queste ultime, presenti già nell'orzo da cui proviene il malto in una quantità pari all’incirca al 10% del peso totale, vengono conservate pressoché intatte durante l’intero processo produttivo e proprio per il loro carattere strutturante, conferiscono persistenza alla schiuma.


Le resine del luppolo, invece, costituiscono il secondo importante componente “solido” della schiuma.

Sono sostanze presenti nelle infiorescenze femminili della pianta, e sono responsabili della caratteristica amarezza delicata della birra. 

Per verificarne la presenza basta inumidire le labbra con la schiuma: se viene percepita una certa sensazione di amarezza, allora sono presenti.

Spero tutti voi sappiate che la presenza della schiuma nella birra non solo è auspicabile, ma quasi sempre necessaria

Nell’opinione pubblica purtroppo non sempre gode di grande fama, a causa della credenza infondata che i baristi disonesti tendano ad amplificarla per rubare sulla quantità di birra nel bicchiere. 

In realtà la schiuma è una parte fondamentale del servizio, perché ha degli effetti importanti sulla qualità del risultato finale: contribuisce infatti a trattenere i profumi e le relative sfumature e ritarda l’ossidazione della bevanda


E poi ha un fascino visivo unico e irripetibile… a quanto pare un detto del Sud Tirolo recita così: “una birra senza schiuma è come una signora senza ornamenti”.

Non tutti gli stili birrari prevedono una schiuma uguale, poiché esistono evidenti differenze da tipologia a tipologia, nonché da nazione a nazione. 


Se pensiamo a una schiuma maestosa e pannosa, probabilmente la mente ci porta in Belgio: i complessi stili d’abbazia (Tripel, Dubbel, Quadrupel), così come le diffusissime Belgian Strong Ale, si caratterizzano subito per una schiuma abbondante e persistente, segno distintivo di un’intera filosofia di fare birra. 


Non è un caso che con “merletti di Bruxelles” si indichino i segni di schiuma lasciati sulle pareti dei bicchieri di queste tipologie.


Nel Regno Unito invece esiste una certa idiosincrasia nei confronti della schiuma, che in certe zone è accettata solo se non supera una o due dita d’altezza. 

Dai relativi stili quindi non ci aspetteremo schiume imponenti, sebbene una trama fine e compatta sia sempre auspicabile (e segno di qualità). 


Gli stili tedeschi invece sono molto più vicini al Belgio da questo punto di vista, una strana analogia per due nazioni birrariamente agli antipodi.


Se l’assenza totale di schiuma è un grave segno negativo per una birra, esistono degli stili che fanno eccezione. 

Ad esempio in un forte Barley Wine anglosassone la mancanza di schiuma è assolutamente preventivabile, anche perché l’alcool è un agente che non ne favorisce la formazione.

Nelle seguenti foto degli esempi di  Merletti di Bruxelles

Agenti a favore o contro la schiuma

Oltre all’alcool, esistono altri agenti che operano contro la formazione di schiuma. 

Uno di questi è esterno alla produzione brassicola e riguarda il modo in cui vengono lavati i bicchieri: i detergenti ad esempio possono essere brutte bestie in questo senso. 

Se vi capita una bella birra con un bel cappello di schiuma, che però svanisce in pochi attimi, allora il bicchiere non è perfettamente pulito!


Anche i lipidi in generale compromettono la formazione di schiuma, così come alcuni enzimi prodotti da luppoli vecchi.


Gli elementi che giocano a favore della schiuma sono invece diversi. 

Gli agenti più importanti nella sua stabilizzazione sono innanzitutto i polipeptidi derivati dai grani, che reagiscono con gli iso-alfa-acidi del luppolo contribuendo alla stabilità e all’aderenza della schiuma ai bordi del bicchiere. 


Sempre il luppolo gioca a favore della schiuma quando si ricorre ad alcune tecniche produttive, come il dry hopping. 


Anche il momento della spillatura è fondamentale: il famoso cappello delle Guinness nasce dall’uso di impianti in carboazoto, mentre il ricorso allo sparkle nelle handpump inglesi bilancia l’assenza di anidride carbonica al momento del servizio nel bicchiere (e quindi della formazione della schiuma).

Cin Cin!!!