Michele Cragnolin

Top Founder Executive

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Storie di schemi: l’evoluzione della tattica.

2018-10-08 06:58:22

Ottava ed ultima parte. Foto (2018) Juventus

Le varie anime della “zona”

La storia dell’evoluzione tattica del calcio è fatta di continue contaminazioni. Dopo la rivoluzione olandese, si susseguirono fasi di restaurazione, con periodici ritorni di marcature individuali e di libero fisso. Una delle più efficaci sintesi tra i vari moduli fu quella adottata dall’Italia di Bearzot, che vinse il titolo mondiale nel 1982, adottando uno schema di gioco definito “zona mista”. La difesa rispettava i canoni del calcio all’italiana, con rigorosi controlli individuali e il battitore libero (però di manovra, come il grande Scirea). Negli altri reparti, invece, gli azzurri si disponevano a zona, con frequenti interscambi. Specie in Italia il dibattito fra difesa a uomo e difesa a zona assunse toni accesi, come si era verificato anni prima tra i fautori del metodo e quelli del sistema.

Il primo scudetto conquistato da una squadra schierata rigorosamente a zona fu quello vinto nel 1983 dalla Roma, allenata dallo svedese Nils Liedholm. Quest’ultimo aveva già conquistato il titolo quattro anni prima alla guida del Milan, che però non si difendeva rigorosamente a zona, in quanto la coppia centrale della retroguardia prevedeva Bet in funzione di stopper e Franco Baresi in veste di libero. A poco a poco, la difesa a zona si è affermata, perdendo però qualche caratteristica tipicamente olandese, penalizzata dalle nuove regole. Alcune modifiche della norma sul fuorigioco, per esempio, hanno reso troppo rischioso il ricorso sistematico a questo espediente difensivo, così come il divieto di retropassaggio al portiere e l’espulsione per fallo commesso in una chiara azione da gol hanno consigliato di correggere lo schieramento rigorosamente in linea del reparto difensivo.

L’ultima evoluzione ha così riguardato prevalentemente l’assetto della difesa. Da quella classica a quattro uomini, si è passati a quella a cinque (tre centrali, di cui uno assai simile al vecchio libero, e due laterali, i terzini di un tempo), o a quella a tre, in cui gli esterni vanno a integrare il centrocampo, retrocedendo soltanto in situazione di pericolo. Attualmente i moduli più applicati sono l’inossidabile 4-4-2, che garantisce tuttora la migliore copertura degli spazi, il 4-3-3, che privilegia la fase offensiva, con due attaccanti esterni e uno centrale, il 3-4-1-2, che prevede la presenza di un trequartista, in genere giocatore molto tecnico e fantasioso, che occupa lo spazio fra le due linee di attacco e di centrocampo e ha la funzione principale di creare opportunità da gol per le due punte. Altre varianti prevedono la difesa a quattro o a cinque giocatori.

Ogni squadra, in realtà, adotta lo schema più congeniale ai giocatori che ha a disposizione, piuttosto che forzare le vocazioni tecniche dei singoli in un modulo astratto. Di conseguenza, infinite sono le varianti, frequenti i ritorni al passato (la difesa a tre è la rivisitazione del sistema), ma l’ultima vera rivoluzione resta, per ora, quella olandese degli inizi degli anni Settanta. Da allora, vi è stato solo un paziente lavoro di perfezionamento e di adattamento, ma nessuna intuizione veramente originale. Il calcio del Duemila attende ancora il suo Chapman o il suo Michels.

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