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Storie di schemi: l’evoluzione della tattica.
Settima parte. Foto (1974) – Cruijff e Neesenks, due tre i migliori interpreti del calcio totale olandese
Il “gioco totale” degli olandesi
Il 4-2-4 brasiliano, con i suoi derivati, stentò a trovare applicazione in Europa, dove resisteva il più pragmatico calcio all’italiana, esaltato dai successi dell’Inter di Herrera. Perché si verificasse un vero cambiamento, occorreva un’autentica rivoluzione: nei primi anni Settanta, l’Olanda (una nazione che sino ad allora era rimasta molto ai margini del calcio d’élite), con i suoi club, soprattutto l’Ajax, e la sua nazionale, ma anche grazie all’eccezionale fioritura di un gruppo di talenti che avrebbero saputo applicare con successo qualsiasi modulo, attaccò il punto fermo di ogni strategia sino allora teorizzata: la fissità dei ruoli.
Il “calcio totale” del tecnico Rinus Michels prevedeva infatti una completa intercambiabilità di funzioni fra i giocatori in campo: persino il portiere poteva usare i piedi e uscire dall’area per partecipare alla manovra. Si trattava di una rivoluzione “culturale” prima ancora che tecnica. I difensori appoggiavano l’attacco, gli attaccanti retrocedevano a coprire la propria area e, quindi, al calciatore specializzato si sostituiva il calciatore universale. Un fuoriclasse, Johan Cruijff, divenne il simbolo del nuovo calcio. Come disposizione iniziale, l’Olanda non si discostava troppo dal 4-3-3, ma la differenza era determinata dagli spostamenti in campo, dal ritmo altissimo, da figure di gioco innovative come il fuorigioco sistematico (avanzata sincrona e improvvisa di tutti i difensori, per mettere in posizione irregolare gli attaccanti avversari) o il pressing, cioè l’aggressione all’avversario in possesso di palla, attuata da due o tre giocatori contemporaneamente.
Il calcio totale olandese sembrò, all’epoca della sua affermazione, la soluzione ideale, ma quel modulo - come tutti, del resto - era strettamente legato all’abilità degli interpreti: quasi tutti i tentativi di imitazione fallirono e la stessa Olanda, nella successiva generazione, non replicò i suoi successi. Fu una squadra italiana, sul finire degli anni Ottanta, il Milan allenato da Arrigo Sacchi e del quale non a caso facevano parte tre campioni olandesi, Gullit, Van Basten e Rijkaard, a proporre la più attendibile rivisitazione del calcio totale. Quel Milan vinse più all’estero che in Italia, e fu ammirato nel mondo come l’esempio di un calcio spettacolare, basato sul contributo collettivo nel quale si fondevano le prodezze dei singoli.