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La didattica a distanza e le potenzialità della cultura digitale: intervista a Carmine Marinucci (DiCultHer)

2020-06-13 21:01:59

Il distanziamento sociale imposto dall’emergenza Coronavirus ha costretto la scuola italiana a mettere in campo modalità inedite di didattica e che mai sarebbero state possibili senza l’ausilio delle tecnologie digitali. Ma come far sì che quanto appreso in questa fase non vada perso? Può il digital

trasformarsi in una risorsa permanente della nostra didattica? Ne abbiamo parlato con il Dott. Carmine Marinucci, segretario generale di DiCultHer, il network italiano nato nel 2015 per incentivare il Digital Culture Heritage e la cultura digitale come componente costitutiva del nostro patrimonio culturale, partendo in primis dalla scuola e dai più giovani.

Uno dei vostri obiettivi è quello di concretizzare la cultura digitale all’interno dell’istruzione scolastica. Perché questo obiettivo è così importante e che risultati aveva raggiunto l’istruzione italiana prima della stessa emergenza Coronavirus? La risposta della scuola è stata senz’altro positiva, ma ciò sarebbe stato impossibile senza il lavoro svolto dai docenti negli ultimi 20 anni. I concetti di DAD e FAD (Didattica e Formazione a distanza) sono infatti tutt’altro che nuovi in questo settore. In realtà è mancata fin ora l’occasione per metterci alla prova. Ma se la scuola è stata in grado di resistere a questo periodo lo si deve ai tanti investimenti in tecnologia, ai numerosi corsi, ma soprattutto ai tanti giovani docenti entrati da poco in questo mondo e ovviamente più avvezzi al digitale. DiCultHer è nata infatti nel 2015 proprio per concorrere alla formazione delle competenze nell’ambito del Digital Culture Heritage, ovvero la dimensione digitale del patrimonio culturale. Il nostro scopo è quello di fornire le competenze necessarie a gestire il cambiamento verso un patrimonio culturale non solo materiale e immateriale, ma anche digitale. Cultura digitale infatti non significa solo conservare in forma digitale il materiale già esistente, ma essa comprende anche tutto quel nuovo materiale culturale creato negli ultimi dieci anni e già nato nella dimensione digitale.

Quali sono i passi avanti che stanno facendo in questa direzione il governo e più in genere le istituzioni? Un passo fondamentale è stato senz’altro la ratifica da parte del Senato, avvenuta qualche mese fa, della Convenzione di Faro del 2005. Quest’ultima è importante proprio perché presenta un’apertura nuova verso quell’idea di patrimonio culturale partecipato. Con questa espressione si vuole intendere il principio secondo cui il patrimonio culturale è ciò che la comunità riconosce come tale. Tuttavia, è bene tenere a mente che nel 2005 il digitale era qualcosa di completamente diverso da quello che è oggi, per questo noi stiamo lavorando attraverso le nostre proposte per aggiornare quanto stabilito dalla Convenzione, per renderlo coerente rispetto a quella che è la portata del digitale oggi. Ma, in ogni caso, resta il problema delle competenze e di chi dovrà gestire il passaggio verso questa idea del digitale come elemento costitutivo della nostra stessa cultura e non solo come tecnologia: quello delle nuove professioni è infatti uno dei punti chiavi delle nostre discussioni e proposte.

Quale potrebbe essere il ruolo del docente in questo nuovo mondo della cultura e dell’istruzione digitale? Da sempre quello dell’istruzione è uno dei settori a cui rivolgiamo maggiormente la nostra attenzione, anche attraverso convegni e incontri dedicati – un esempio è stato Ventotene Digitale nel 2017. Questo perché è la scuola ad essere la vera protagonista di questa trasformazione, così come i veri innovatori sono i docenti e soprattutto i ragazzi: non di rado sono proprio questi ultimi ad intervenire in prima persona per aiutare i loro insegnanti a gestire le risorse del digitale. L’aspetto della partecipazione attiva e della creatività degli studenti è infatti uno dei punti a cui teniamo di più. Ma ovviamente questo percorso non potrebbe sussistere senza i docenti, ora chiamati a guidare i ragazzi in questo percorso, diventando dei “learning curator”. La figura del docente è e resta ineliminabile, così come la loro funzione: insegnare allo studente ad essere protagonista del mondo in cui si affaccia a vivere. Certo, tutto questo sarà impossibile se non si fornisce agli insegnanti gli strumenti e le risorse adeguate per permetter loro di mettere in pratica quella creatività e quell’autonomia intellettuale che hanno dimostrato di avere.