Maria Grazia Di Martino

Founder Junior

Quelle impronte di piccole mani

2020-08-06 14:28:14

E’ l’ultimo atto delle vedove indù prima di immolarsi sulla pira funeraria del marito: le mani impregnate di hennè si appoggiano al muro e lasciano per sempre un’impronta a testimonianza dell’estremo sacrificio.

Il sati

Questo atroce rituale, indicato con il termine in sanscrito di “sati”, cioè l’atto della vedova che si immola sulla tomba del marito, ha radici molto lontane nel tempo, essendo conosciuto e praticato sin dal I secolo a.c., e pone alla sua base la convinzione che fosse dovere della moglie, quale segno di rispetto e devozione, sacrificare la propria vita dopo la morte in battaglia del marito, rendendo così pubblicamente onore al suo valore. La pratica del sati in India venne ufficialmente proibita nel 1829, ma in realtà questa barbara usanza non fu mai completamente abbandonata e alcuni casi si sono verificati anche ai giorni nostri.

La fortezza di Mehrangarh 

si innalza imponente alla sommità di una collina nello Rajasthan, uno degli stati federati dell’India. Sette sono le porte attraverso le quali si accede al suo interno, ma è sul muro accanto all’ultima di queste, la Porta di Ferro, che le vedove del maharaja lasciavano le impronte delle loro mani prima di sedersi sulla pira funeraria e andare incontro alla morte accanto al corpo del marito.

L’ultimo sati reale avvenne nella fortezza di Mehrangarh nel 1843: la morte del maharaja Man Singh portò con sé anche la vita delle mogli, 31 sfortunate giovani donne che, dopo aver lasciato le impronte delle mani sul muro, si gettarono una dopo l’altra sulla pira in fiamme del marito. 

Oggi le impronte sono ancora su quel muro, perfettamente visibili, piccole delicate mani rosse che silenziosamente ci parlano e ci raccontano del loro crudele inesorabile destino.