Manuela Scanu

Top Founder Senior

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ETICHETTA - INDICAZIONE PAESE D’ORIGINE: UN BEL PASTICCIO???

2019-04-16 07:40:39

Con il DL semplificazioni dal 2018 è entrato in vigore l’obbligo di indicare se la materia prima è prodotta in Italia o se importata dal mercato interno europeo o da uno stato extracomunitario.

Quindi il consumatore italiano ad oggi può leggere nel l’etichetta da dove arriva il latte, dove è stato coltivato il grano con cui è stata fatta la pasta, dove è cresciuto il pomodoro della passata che sta acquistando. 


Se da un lato il consumatore è entusiasta di questa novità, dall’altro l’industria alimentare non ha apprezzato l’emanazione di queste nuove regole, tanto che l’Associazione Italiana Pastai (di cui fanno parte per es Barilla e Garofalo) ricorre al TAR del Lazio e anche la lobby Food and Drink Europe reclamano presso la Commissione Europea ritenendo il decreto troppo forviante per il

Consumatore. Entrambe le azioni non hanno trovato però nessun riscontro positivo. 

LA COMMISSIONE EUROPEA E IL NUOVO REGOLAMENTO

Ma a redimere queste controversie ci ha pensato la Commissione Europea con l’emanazione di un nuovo regolamento. 


Dal 1 aprile 2020, sarà obbligatorio indicare da dove viene la materia prima solo quando «il paese d’origine è indicato attraverso, illustrazioni, simboli o termini che si riferiscono a luoghi o zone geografiche». 


Tradotto vuol dire che, fra un paio d’anni, in Europa, gli unici vincolati a dichiarare la provenienza dell’ingrediente principale, saranno le aziende che mettono sulla confezione dei «segni identificativi » che ne evocano l’origine. 


Per fare un esempio: quando sulla scatola di pasta c’è scritto «100% italiana», il produttore sarà obbligato a dichiarare se la semola è tutta italiana o una parte è importata da altri paesi.


Se invece la confezione non lascia intendere un preciso legame con un territorio, sarà sufficiente riportare la dicitura: «Ue» oppure «non Ue» o «Ue e non Ue» o anche niente. 


In sostanza, il nuovo regolamento vuole mettere in riga chi vuole spacciare per italiano un prodotto che italiano non lo è, o non del tutto, ma lascia a tutti gli altri maglie larghe. 


L’obbligo, infatti, non varrà per le indicazioni geografiche protette Dop e Igp ma soprattutto non si applicherà ai marchi registrati che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto.


Una postilla che spalanca le porte a tutte quelle aziende che fanno dell’italian sounding il proprio cavallo di battaglia: basterà avere un marchio registrato con una bandiera tricolore o un richiamo al nostro Paese per essere esentati dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente principale, che molto spesso l’Italia non l’ha mai vista. 

Tra pochi mesi, però, l’italian sounding potrebbe ingannare gli stessi italiani perché nel nostro Paese le etichette faranno un passo indietro dal punto di vista della chiarezza dell’origine delle materie prime.


“In questo modo la Commissione europea tradisce non solo lo spirito del regolamento 1169 ma anche i consumatori. A servizio dei grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno interesse a occultare l’origine dell’ingrediente primario” spiega Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare e fondatore del sito Gift.


Restano però le tutele previste dal regolamento 1169. Tutti i marchi che evocano italianità nel nome o nella grafica, ma che italiani non sono, dovranno comunque precisare che il prodotto non è made in Italy. 


Vedremo come si evolverà la situazione con l’entrata in vigore nel 2020 del nuovo regolamento!


STAY TUNED...