mangiare bene, bere meglio
LA STORIA DEL VINO
IL NERELLO, IL VINO INTRODOTTO DAI GRECI CHE PIACEVA AI ROMANI. OGGI L'ETNA ROSSO PIACE MOLTO ANCHE A NOI.
Il Niuriddu Mascalisi, com’è affettuosamente chiamato il Nerello Mascalese dai vignaioli etnei, non ha una collocazione storica ben precisa, l’inizio della sua coltivazione si perde infatti nella notte dei tempi. Da recenti studi è però emerso che questo vitigno autoctono a bacca rossa fa la sua prima apparizione durante la colonizzazione greca nel VIII secolo A.C. sulle coste della Calabria, per poi spostarsi a Naxos e successivamente a Catania nel 728 A.C., quando i Greci introdussero nella parte orientale della Sicilia la coltivazione delle Talee e l’adorazione di Dionisio, dio del vino. Al tempo erano molti i Greci che coltivavano la vite nella zona orientale della Sicilia e alle pendici dell’Etna. Si dice che la stessa poetessa Saffo, bandita dalla sua patria, l’isola di Lesbo, si trasferì in questa zona dell’isola a coltivare la vite.
Ma è solo in epoca romana che il Nerello Mascalese comincia a diffondersi alle pendici dell’Etna, diventando un’interessante alternativa al famoso Falerno. Qui metterà definitivamente radici nel territorio della piana di Mascali, ristretta zona agricola tra il mare e l’Etna, in provincia di Catania, da cui il nome Mascalese, e nel territorio di Randazzo e Castiglione di Sicilia. L’Etna accoglierà quindi il Nerello Mascalese per secoli, con i suoi terreni vulcanici al limite dell’impossibile, tra i 350 e i 1100 metri sul livello del mare, che offriranno le condizioni pedoclimatiche più adatte per la sua coltivazione.
Si produssero, in quest’area, i famosi mamertini tanto apprezzati dai tiranni siracusani e in seguito dai Romani, soprattutto da Cesare. Quest’ultimo, infatti, amava festeggiare le sue vittorie galliche con i ricercati Tauromenitanum e Mamertinum. Altrettanto rinomati erano il Catiniensis e l’Adrumenitanum, sempre provenienti dalla zona del vulcano.
Infatti, nonostante la caduta dell’impero romano e le varie dominazioni arabe (che contrariamente a quanto si pensi non eliminarono la cultura del vino, ma la mitigarono soltanto, introducendo la tecnica della distillazione), normanne e borboniche susseguitesi in Sicilia, il Nerello Mascalese non sarà mai abbandonato del tutto e questo ha permesso che venisse tramandato a noi in tutta la sua nobile fierezza. Da allora la coltivazione della vite e la produzione del vino non ebbero particolari slanci. Il territorio del Nerello Mascalese non era conosciuto e famoso come lo è oggi.
In età moderna, nel 1543, Carlo V concesse al vescovo Caracciolo l’elevazione della piana di Mascali a Contea. Le terre di Mascali vennero, pertanto, date in enfiteusi ai viticoltori, che contribuirono alla selezione di questa varietà. Tuttavia, solo alla fine del XX secolo si sono ottenuti gli interessanti risultati oggi noti. Con un importante lavoro, realizzato soprattutto nel nuovo millennio, si è valorizzata la qualità del vitigno autoctono e sono state introdotte le denominazioni di origine. Oggi i vini ottenuti dalla vinificazione di questo vitigno sono tra quelli più apprezzati a livello internazionale.
Ad oggi la coltivazione del vitigno è presente in tutto il circondario etneo della suddetta provincia (Trecastagni, Biancavilla, Viagrande). Il territorio di eccellenza, tuttavia, rimane quello intorno ai comuni di Castiglione di Sicilia e di Randazzo, tra Rovittello, Solicchiata, Calderara, Passopisciaro e Linguaglossa. In quest’area i vigneti eroici di Nerello Mascalese hanno resistito all’epidemia della Fillossera. La conformazione dei suoli (terreni vulcanici, con tessitura basaltica e presenza di argille allofane con buona conduzione termica), l’elevata altitudine (fino ai 1100 metri sul livello del mare) e la pratica di allevamento della vite per propaggine (la cosiddetta purpania) hanno reso forte il vitigno.
Il vitigno Nerello Mascalese è presente in Sicilia anche sulle colline e lungo le coste che si affacciano sullo Stretto di Messina. Nella lingua di terra chiusa tra il Mar Tirreno e il Mar Ionio esso dà vita al Faro DOC. Tale nome potrebbe derivare da Punta Faro, punta estrema dello Stretto di Messina, o dalla popolazione greca dei Pharii, colonizzatrice di gran parte delle colline messinesi.
Una coltivazione a controspalliera del vitigno la troviamo anche nel palermitano e nell’agrigentino, dove nell’ultimo trentennio il Nerello Mascalese si è particolarmente diffuso.
Il Nerello Mascalese è impiegato per la vinificazione come monovarietale, o in blend con altri uvaggi. Dal 1968 il Nerello Mascalese è diventato la base per la denominazione DOC dell’Etna Rosso, di cui rappresenta almeno l’80%, mentre il restante 20% è dato dal vitigno Nerello Cappuccio. Il riconoscimento della Faro Doc risale al 1976 e prevede, secondo disciplinare, l’uso di uve Nerello Mascalese da un minimo del 45 al 60%, di Nerello Cappuccio dal 15 al 30%, di Nocera dal 5 al 10%.
Il Nerello Mascalese è presente in diverse Doc siciliane: Faro, contea di Sclafani, Alcamo, Riesi, Marsala, Sicilia. Le sue versioni più prestigiose vanno sotto la denominazione Etna Doc. Il Nerello Mascalese è uno dei vini rossi italiani più eleganti. E’ ricco nelle sue diverse espressioni. perché caratterizzato da un insieme di piante clonali eterogenee tra loro. Le diverse espressioni, anche annuali, dell’uva dipendono molto dalle condizioni climatiche, dal versante del vulcano Etna e dall’altitudine. Il Nerello Mascalese è un vitigno a maturazione tardiva. Nella zona Etna la vendemmia si svolge generalmente a metà ottobre. I grappoli che vengono raccolti sono i migliori, perché sono stati selezionati e baciati dal sole grazie ad una previa sfogliatura.
Occorre distinguere tra il Nerello Mascalese in purezza e il vinificato in assenza di vinacce. Quello in purezza ha un colore rosso carico, un rosso ciliegia tendente al granato. All’olfatto si presenta con eleganti profumi di piccoli frutti rossi e con sentori di liquirizia e spezie. Al palato è secco, tannico, persistente e armonico. Il Nerello Mascalese viene anche vinificato in assenza di vinacce ed è conosciuto come “Pesta in Botte”. Questo particolare vino assume un colore rosso carico e intensi profumi di viola, di piccoli frutti rossi e spezie. Il suo gusto è pieno, caldo e asciutto. Inoltre, se coltivato in terreni vulcanici si percepisce una decisa mineralità.
Il Nerello Mascalese è bene versarlo in un ampio calice. La temperatura di servizio deve essere di 17/18 gradi. Se scegliamo questo vino per l’abbinamento a primi piatti dobbiamo scegliere qualcosa di succulento e aromatico. Perfetti sono i risotti, le tagliatelle o i ravioli conditi con sughi a base di carne. Per i secondi piatti carne rossa, carne di cavallo o, per rimanere in zona di produzione, la salsiccia di suino dei Nebrodi sono l’ideale.
Alcuni grandi rossi a base di Nerello M.se:
Etna Rosso 'A' Rina' Girolamo Russo GIROLAMO RUSSO
Etna Rosso 'Cirneco' Terrazze dell'Etna TERRAZZE DELL'ETNA
Etna Rosso 'Contrada Diciassettesalme' COTTANERA
Etna Rosso Scalunera TORREMORA
Contrada P PASSOPISCIARO
Etna Rosso 'Reseca' GULFI
Etna Rosso 'Sul Vulcano' DONNAFUGATA
Nerello Mascalese 'Lavico' DUCA DI SALAPARUTA
Etna Rosso 'Calderara Sottana' TENUTA DELLE TERRE NERE
Etna Rosso 'San Lorenzo' GIROLAMO RUSSO
Etna Rosso 'Fragore - Contrada Montelaguardia' DONNAFUGATA
Etna Rosso 'Arcuria' GRACI
Etna Rosso 'Lenza di Munti NICOSIA
Etna Rosso 'Barbagalli' PIETRADOLCE
Faro PALARI
Faro Casematte